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Tartarughina d’acqua: habitat e alimentazione

Tartarughina d’acqua: habitat e alimentazione

Le tartarughe acquatiche sono molto diffuse, le specie più comuni sono la Chrysemys picta e la Trachemys scripta scripta che, se gestite in modo corretto, possono superare i 30 anni d’età. Sono animali molto robusti e resistenti tanto da poter essere allevati da adulti in laghetti e stagni anche d’inverno. Il loro habitat in cattività non corrisponde alla classica “vaschetta di plastica”, bensì ad un acquaterrario munito di un filtro per depurare l’acqua, un ossigenatore e un sistema di termostati sia in acqua che nella porzione emersa. La parte di acqua deve essere alta più del doppio della lunghezza della tartaruga e deve occupare circa 2/3 dell’acquario perché questi animali devono avere la possibilità di nuotare. La parte emersa serve per fare “basking”, con questo termine si indica il comportamento tipico delle tartarughe quando si espongono alla luce solare. Le tartarughe acquatiche sono degli animali a sangue freddo non in grado di regolare la loro temperatura corporea; è importante, quindi, che la temperatura all’interno della vasca sia mantenuta costante tra i 22°C e i 28°C durante il giorno, mentre durante la notte può essere anche di 5°C più bassa. È necessario riscaldare sia l’acqua che la parte emersa. In acqua si deve inserire un termostato per acquari che può essere in plastica oppure in vetro. In quest’ultimo caso, deve essere protetto da una rete perché gli animali potrebbero procurarsi delle ustioni e le tartarughe di grandi dimensioni potrebbero romperlo con il movimento. Nella parte emersa deve essere inserita sia una lampada in ceramica collegata ad un termostato per terrari che una lampada UV. La lampada in ceramica serve per riscaldare l’ambiente non acquatico, in questo modo gli animali non subiranno sbalzi di temperatura una volta usciti dall’acqua. La lampada UV deve sviluppare UVA e UVB e deve restare accesa per dieci ore al giorno, si consiglia di sostituire la lampada una volta all’anno. La carenza di esposizione ai raggi UVA/B, che simulano l’esposizione alla luce naturale del sole, può causare l’insorgenza di malattie metaboliche. La malattia ossea metabolica (MOM, MBD o Metabolic Bone Disease), ad esempio, è una patologia che causa demineralizzazione e ridotta calcificazione del tessuto osseo. È una patologia tipica delle tartarughe di acqua non gestite in modo corretto e si può prevenire fornendo un ambiente e un’alimentazione idonea alle necessità della specie. Per quanto riguarda l’alimentazione delle tartarughe di acqua, le tartarughe adulte sono principalmente onnivore ma da piccole preferiscono alimentarsi con una dieta carnivora. Nei primi anni di vita il cibo deve essere somministrato tutti i giorni, successivamente è possibile alimentarle tre volte a settimana. La dieta delle tartarughine di acqua deve essere varia e possiamo scegliere diversi alimenti quali: latterini, novellame di sardine e acciughe, ritagli di salmone, sgombro, trota, gamberi decongelati, mazzancolle, scampi, vongole, cozze, pezzetti di pollo e tacchino, mela, cocomero, melone, fagiolini, cicoria, radicchio, carota, lattuga e pellet per tartarughe acquatiche. Il cibo essiccato deve essere evitato perché è spesso contaminato e povero di sostanze nutritive. È possibile alimentare le tartarughe di acqua in una vasca a parte per mantenere l’acqua pulita più a lungo.In questo caso è necessario controllare anche la temperatura dell’acqua della vasca per l’alimentazione al fine di evitare sbalzi termici che potrebbero farle ammalare. “DVM, GPCert medicina e chirurgia degli animali esotici, Responsabile settore Animali non Convenzionali Mylav La Vallonea”Dr. Gustavo PicciAutore

La paralisi laringea nel cane

La paralisi laringea nel cane

La laringe è un organo composto da diverse cartilagini, avente funzione principale di garantire il passaggio d’aria e impedire l’aspirazione di cibo e liquidi. Normalmente in fase inspiratoria la laringe aumenta il diametro glottideo tramite la contrazione dei muscoli cricoaritenoidei dorsali che abducono le cartilagini aritenoidi.Questo in termini più semplici significa che durante l'inspirazione la laringe si apre per permettere il passaggio dell'aria. I muscoli cricoaritenoidei dorsali sono innervati dal nervo laringeo caudale che rappresenta la parte terminale del nervo laringeo ricorrente, a sua volta derivante dal nervo vago.  La denervazione dei muscoli cricoaritenoidei ha come principale conseguenza l’immobilità delle cartilagini aritenoidi che tendono a posizionarsi stabilmente su un piano paramediano durante tutte le fasi respiratorie (ovvero la laringe non si apre più). Nella maggior parte dei casi questo deficit motorio è progressivo e possono passare anche mesi prima che il paziente mostri segni clinici riferibili ad un diminuito diametro della glottide.Questa situazione crea sintomi ingravescenti in caso di aumentata attività fisica e/o condizioni climatiche caldo-umide innescando una serie di circoli viziosi che portano l’animale verso una crisi dispnoica potenzialmente mortale.   Che cosa succede?   Per vincere l’ostruzione glottidea il cane deve aumentare la profondità degli atti inspiratori creando un flusso d’aria più veloce e vorticoso in grado di causare, come prima conseguenza, iperemia ed edema della mucosa laringea con ulteriore progressiva diminuzione del diametro glottideo. L’incremento dell’attività dei muscoli intercostali e del diaframma, necessario a vincere l’ostruzione, causa un ulteriore aumento della velocità di flusso ed un collasso dinamico delle cartilagini aritenoidi sulla base dell’effetto Bernoulli. Il maggiore lavoro muscolare determina un incremento nel fabbisogno di ossigeno e un aumento della temperatura corporea, entrambe evenienze che innescano un ulteriore incremento dello sforzo inspiratorio.  Questo concatenarsi di eventi ha come possibile effetto finale la formazione di un edema polmonare non cardiogeno, verosimilmente secondario alle elevate pressioni negative intratoraciche in grado di favorire la fuoriuscita di fluido dai capillari polmonari verso gli alveoli e l’interstizio.   Quando posso sospettare una paralisi laringea nel cane?   Sono particolarmente colpiti gli animali adulti-anziani di razze grandi-giganti; tuttavia, la paralisi laringea può essere diagnosticata a cani di qualunque taglia o età. I sintomi più frequentemente riscontrati in corso di paralisi laringea si verificano durante l’attività fisica o condizioni di caldo intenso e comprendono: Respiro rumoroso con stridore, con aumento dello sforzo inspiratorio Intolleranza all’esercizio fisico  Intolleranza al caldo Modifiche nella sonorità dell’abbaio Nei casi più gravi la dispnea si manifesta anche a riposo, con stridore udibile anche se di minore intensità, atteggiamento ortopnoico (collo esteso, bocca aperta, commessura labiale retratta); se il cane viene portato a compiere attività fisica anche modesta può manifestare perdita di saliva, cianosi, ipertermia, fino al collasso cardiocircolatorio.   Come si diagnostica?   In caso di presenza dei sintomi su menzionati il consiglio è di portare il cane con urgenza dal Medico Veterinario per una visita ed eventuali indagini successive: L’auscultazione permette infatti di identificare la zona laringea come area di insorgenza del rumore respiratorio. La valutazione radiografica rappresenta un passaggio fondamentale per il corretto inquadramento della malattia. Lo studio radiografico può individuare o far escludere masse o deformazioni a livello del tratto laringeo o tracheale cervicale o toraciche che possono essere la causa della paralisi. Inoltre il rilievo di complicazioni come polmonite o megaesofago rappresentano senza dubbio un elementi negativi che devono essere valutati attentamente prima di eseguire eventuali procedure chirurgiche. La laringoscopia è la tecnica diagnostica di elezione per emettere una diagnosi di paralisi laringea. Consiste nell’ispezione della laringe eseguita con un piano anestesiologico superficiale: con questa procedura è possibile non solo valutare l’ipomobilità o l’immobilità delle cartilagini aritenoidi ma anche evidenziare i segni secondari che si associano a paralisi, quali edema ed eritema mucosali, iperplasia da contatto, presenza di saliva o materiale alimentare a contatto delle aritenoidi o nello spazio subglottideo. Con la laringoscopia è possibile evidenziare i movimenti paradossi delle cartilagini aritenoidi derivanti dal movimento passivo che il flusso d’aria fa compiere alle cartilagini aritenoidi e alle corde vocali con l’avvicinamento delle cartilagini in fase inspiratoria e il loro allontanamento in fase espiratoria. Il quadro endoscopico mostra caratteristiche peculiari in presenza di una concomitante paralisi del nervo laringeo craniale che porta a paralisi sensoriale della mucosa laringea: in questo caso la laringe e il primo tratto tracheale sono spesso quasi completamente coperti da saliva e detriti alimentari poiché l’animale non percepisce il contatto con questi elementi che causano, nell’individuo sano, la chiusura immediata della glottide e l’innescarsi del riflesso difensivo della tosse. In presenza di paralisi laringea di tipo sensoriale la prognosi è generalmente infausta per l’elevata probabilità di aspirazione, che aumenta considerevolmente dopo l’intervento di lateralizzazione aritenoidea.   Qual è la terapia se il paziente non è stabile?   I pazienti in grave distress respiratorio devono essere considerati come una vera emergenza ed il Medico Veterinario provvederà ad instaurare una rapida terapia di emergenza in base alla gravità della situazione con il fine di stabilizzare il paziente.   Qual è la terapia se il paziente è stabile?   Nei casi in cui l’animale viene portato a visita non in situazione di emergenza, la terapia per la paralisi laringea è chirurgica e consiste nella lateralizzazione unilaterale della cartilagine aritenoidea, ovvero l’abduzione permanente (allargamento verso l’esterno) di una delle due cartilagini al fine di ottenere un diametro glottideo adeguato a permettere il normale passaggio dell’aria. Tale abduzione ha come effetto secondario la diminuzione, talvolta fino alla perdita, dell’attività fonatoria.   Le complicanze più gravi della lateralizzazione aritenoidea possono essere: Aspirazione di cibo: il lume glottideo viene reso stabilmente più ampio del normale per cui il rischio di aspirazione di cibo e fluidi è potenzialmente aumentato. È da tenere presente che le vie respiratorie inferiori sono protette da altri due sistemi difensivi: l’epiglottide e il riflesso della tosse. La cartilagine epiglottide ruota durante la deglutizione agendo come una sorta di ponte levatoio che si chiude proteggendo la glottide, mentre la tosse allontana piccole particelle comunque venute a contatto con la mucosa laringea.  Frattura della cartilagine aritenoide per trazioni da collare o da attività fisica troppo intensa nell’immediato periodo post-operatorio. In questo caso il cane manifesterà un riacutizzarsi improvviso della sintomatologia dispnoica: per questo motivo gli animali operati non devono essere portati a passeggio con il guinzaglio ma solo con la pettorina e l’attività fisica deve essere fortemente limitata durante le prime due settimane dopo la chirurgia. Med. Vet., Dottore di Ricerca in Fisiopatologia e Clinica degli Animali da Compagnia. Specialista in Clinica e Patologia degli Animali da Compagnia - (Malattie dell’apparato respiratorio e otorinolaringoiatriche - Citopatologia generale)Dr. Davide De LorenziAutore

MONITORAGGIO DELLA SINDROME DI CUSHING: LA PROSPETTIVA DEL PROPRIETARIO

MONITORAGGIO DELLA SINDROME DI CUSHING: LA PROSPETTIVA DEL PROPRIETARIO

L'iperadrenocorticismo, noto comunemente come “sindrome di Cushing”, è una patologia endocrina che colpisce frequentemente il cane (più raramente il gatto).  In sintesi quello che accade è che l’organismo inizia a produrre delle quantità eccessive di cortisolo, un ormone prodotto dalle ghiandole surrenali. Le due principali forme sono quella ipofisaria (80-85% dei casi) e quella surrenalica 15-20% dei casi).  Questa condizione causa solitamente a una serie di sintomi sgradevoli e mettere a dura prova la salute del cane o gatto colpito da tale condizione. Una una diagnosi tempestiva, un trattamento adeguato e uno scrupoloso monitoraggio terapeutico permettono solitamente di controllare il quadro sintomatologico in modo efficace. Le domande che frequentemente il proprietario di un animale con Sindrome di Cushing si pone sono: cosa succede dopo la diagnosi iniziale? In che modo io proprietario posso contribuire al monitoraggio della terapia? È importante comprendere che la sindrome di Cushing prevede come unica terapia definitiva l’intervento di ipofisectomia (forma ipofisaria) o di surrenalecromia (forma surrenalica); tuttavia, la sintomatologia può quasi sempre essere controllata con successo anche attraverso una combinazione di terapie farmacologiche, monitoraggi da parte del veterinario e particolari attenzioni da parte del proprietario.  Di seguito esploriamo il processo di monitoraggio della terapia della Sindrome di Cushing dal punto di vista del proprietario del cane.   Comunicazione aperta con il veterinario La prima e più importante tappa nel monitoraggio della terapia è mantenere una comunicazione aperta con il veterinario curante. Questo è essenziale per garantire che il trattamento sia adattato alle esigenze specifiche dell’animale.Il veterinario definirà le dosi più appropriate dei farmaci e valuterà eventuali cambiamenti necessari in base alla risposta clinica ed alle analisi del sangue.   Monitoraggio dei Sintomi Il proprietario deve essere attento nel rilevare potenziali sintomi ascrivibili ad un controllo non ottimale della sindrome di Cushing.  Questi possono includere:  eccessiva sete,  eccessiva produzione di urine,  aumento dell'appetito,  alterazioni del pelo e/o della cute,  letargia e debolezza.  Prendere nota dei cambiamenti di comportamento e dei sintomi è utile per capire se la terapia sia efficace o meno e se siano necessari eventuali cambiamenti di dosaggio.    Esami di Follow-up Il veterinario programmerà regolari esami di follow-up per monitorare l'efficacia della terapia. Questi includono test ormonali, esami ematochimici ed esame delle urine.A questi, in base alle esigenze del singolo caso, possono sommarsi indagini di diagnostica per immagini quali ecografie o tomografia computerizzata (TC). I test ormonali di monitoraggio utilizzati sono:  Test di stimolazione con ACTH: da eseguire a digiuno e a distanza di 2-3 ore dall’assunzione del farmacooppure Cortisolo basale pre-pill: da eseguire prima della somministrazione mattutina del farmaco È essenziale rispettare scrupolosamente le scadenze delle visite di controllo per valutare il progresso e apportare eventuali modifiche alla terapia. Dopo l’inizio della terapia e dopo ogni cambio di dosaggio del farmaco risulta opportuno eseguire un controllo dopo circa 4 settimane, mentre in animali ben controllati si consiglia un monitoraggio cadenzato ogni 3-4 mesi a seconda del singolo paziente. Riscontro di eventuali effetti avversi Possibili effetti collaterali in corso di terapia possono essere determinati dall’insorgenza di: inappetenza vomito diarrea eccessivo abbattimento del sensorio Tali sintomi potrebbero essere legati a una eccessiva azione del farmaco che comporta un calo eccessivo delle concentrazioni di cortisolo. Qualora dovesse manifestarsi uno o più di questi sintomi è opportuno sospendere la terapia e contattare il veterinario per ulteriori indicazioni.  Queste problematiche potrebbero essere causate da fattori non inerenti alla sindrome di Cushing (in questo caso è comunque indicata la sospensione del farmaco) o da un’eccessiva soppressione dei livelli di cortisolo in circolo. Per questo motivo è sempre necessario consultare il veterinario per valutare se e in quale modo procedere con la terapia.  Se il cane dovesse manifestare dei segni clinici neurologici: vagare senza meta per casa, fissare il vuoto, incunearsi negli angoli, è importante contattare il veterinario. In alcuni casi, il tumore ipofisario può crescere e creare dei deficit neurologici. In tali casi è molto importante approfondire il quadro attraverso una tomografia computerizzata (TC) o una risonanza magnetica (RMN) dell’encefalo.   In conclusione, il monitoraggio terapeutico della sindrome di Cushing richiede un impegno costante da parte dei proprietari. La malattia può essere gestita efficacemente, ma richiede attenzione, collaborazione con il veterinario e un occhio vigile sui sintomi. Articolo redatto con la collaborazione del Dr.ssa Mariachiara Re “DVM, Diplomato ECVIM-CA, EBVS® - European Veterinary Specialist in Small Animal Internal Medicine - Animali da compagnia, Endocrinologia non riproduttiva, medicina interna e terapia (Malattie Metaboliche).”Prof. Federico FracassiAutore

I parassiti delle vie respiratorie del gatto: da cacciatore a preda

I parassiti delle vie respiratorie del gatto: da cacciatore a preda

Il gatto può essere colpito, con una frequenza maggiore di quanto si pensi, da parassiti che allo stadio adulto, vivono nelle vie respiratorie (trachea, bronchi). Le modalità con cui il gatto si infesta e la gravità delle manifestazioni cliniche variano in base alla specie e all’età dei gatti infestati ma i segni clinici sono sempre rappresentati da tosse e difficoltà respiratorie. Le 3 specie più frequentemente riscontrabili sono Capillaria aerophila, Aelurostrongylus abstrusus e Troglostrongylus braevior.  Capillaria aerophila sottile e di colore biancastro, lunga circa 2 cm vive nello spessore della mucosa della trachea e dei bronchi degli animali infestati (Fig. 1). Il ciclo è diretto. Le femmine dopo l’accoppiamento emettono uova, dalla caratteristica forma a limone, che deglutite vengono espulse con le feci e diventano infestanti dopo alcune settimane, in grado cioè di infettare altri e gatti direttamente se ingerite. Questo ciclo può essere più complesso se le uova vengono ingerite da lombrichi che a loro volta siano preda di animali selvatici o domestici (uccelli, polli) e che fungono da cosiddetti ospiti paratenici (trasportatori passivi delle uova infestanti). Il segno clinico più frequente nei gatti colpiti è la tosse cronica con tentativo di espettorazione anche se difficilmente la gravità è tale da porre a rischio vita i gatti colpiti. Fig. 1 - Adulto di Capillaria aerophila (freccia) nella sottomucosa della trachea.Decisamente più gravi sono le infestazioni da Aelurostrongylus abstrusus e Troglostrongylus braevior che vivono nel lume di bronchi e bronchioli causando oltre che tosse gravi problemi respiratori, spesso letali specie nei gatti giovani. In questo caso il ciclo è indiretto e prevede necessariamente la presenza di un ospite intermedio (lumaca o chiocciola) all’interno della quale e larve emesse con le feci continuano il loro sviluppo per divenire infestanti. È raro che il gatto ingerisca direttamente la lumaca o la chiocciola ma più frequentemente sono gli ospiti paratenici (anfibi, uccelli, piccoli mammiferi) che dopo avere predato l’ospite intermedio  (lumaco o chiocciola) diventino a loto volta preda del gatto. Per Troglostrongylus braevior è frequente la trasmissione verticale (da madre a neonati durante allattamento). In questi casi le manifestazioni cliniche possono colpire tutti o più soggetti nati dalla stessa madre, se pur con diversa gravità e il quadro clinico manifestarsi chiaramente anche in gattini molto giovani con età inferiore ai 2-3 mesi.   La diagnosi viene effettuata da parte del medico veterinario con esame delle feci con tecniche diverse (flottazione per Capillaria aerophila, apparato di Baermann per Aelurostrongylus abstrusus e Troglostrongylus braevior) ed è fondamentale per una terapia mirata (Fig. 2, 3, 4).Fig. 2 - Uova di Capillaria aerophila dalla caratteristica forma a limone, esame delle feci eseguito con tecnica di flottazione. Fig. 3 - Larva di Aelurostrongylus abstrusus evidenziata ad esame delle feci con apparato di Baermann.Fig. 4  - Larva di Troglostrongylus braevior evidenziata ad esame delle feci con apparato di Baermann.Per quanto riguarda Aelurostrongylus abstrusus l’esame delle feci deve essere effettuato anche prima di programmare un intervento di sterilizzazione.I gatti giovani possono essere infestati in forma clinica non apparente ed hanno una percentuale di mortalità intra-operatoria molto elevata.   Come prevenzione (oltre a quella farmacologica suggerita dal medico veterinario) viste le modalità di trasmissione di questi parassiti è importante cercare di limitare l’attività di predazione dei nostri gatti (anche nel rispetto della biodiversità in ambito urbano o peri-urbano) e nutrirli con carne che non sia ben cotta (in particolare per quelle di pollo e volatili). Le immagini sono gentilmente concesse dall'Autore. “DVM, Specialista in Clinica dei Piccoli Animali, Diplomato EVPC, EBVS® - European Veterinary Specialist in Parasitology”.Dr. Luigi VencoAutore

LA ROGNA NOTOEDRICA DEL GATTO

LA ROGNA NOTOEDRICA DEL GATTO

Cos’è la rogna notoedrica del gatto ? La rogna notoedrica, conosciuta anche come scabbia felina, è una malattia parassitaria pruriginosa del gatto causata dall’acaro Notoedres cati.L’acaro può infestare altri mammiferi, uomo compreso, ed eccezionalmente anche il cane.   La rogna notoedrica del gatto è una malattia contagiosa? La rogna notoedrica del gatto è una malattia estremamente contagiosa e, dal momento che la trasmissione avviene soprattutto per contatto diretto, la vita in collettività (colonie, allevamenti, gattili) aumenta notevolmente il rischio di trasmissione.Sicuramente nelle zone in cui sono mantenute e registrate le colonie feline, la malattia può persistere e rendersi stanziale in particolar modo in quelle aree urbane o extra urbane come cimiteri, ruderi, aree limitrofe ad ospedali o scuole. La rogna notoedrica del gatto è una zoonosi e l’uomo può essere infestato transitoriamente manifestando lesioni rappresentate da papule, vescicole e croste pruriginose soprattutto localizzate su arti e tronco.Le lesioni regrediscono spontaneamente in circa tre settimane una volta eliminato il contatto con il gatto infestato.   Come si manifesta la rogna notoedrica del gatto?   Le lesioni iniziali sono rappresentate da papule, papule-crostose e da scaglie che, con il progredire della malattia, vengono sostituite da croste grigio-giallastre, ispessite e tenacemente adese alla cute, che ricoprono i padiglioni auricolari.La distribuzione delle lesioni è piuttosto caratteristica: nelle fasi iniziali si osservano lesioni sul bordo mediale del padiglione auricolare che rapidamente coinvolgono tutto il padiglione, la faccia e il collo.Con il progredire dell’infestazione le lesioni possono generalizzare interessando la testa, il collo e successivamente tutto il corpo.Il prurito è solitamente intenso per cui sono frequenti lesioni secondarie da auto-traumatismo (alopecia, erosioni ed ulcere) che possono favorire l’insorgenza di infezioni secondarie.Le comuni operazioni di toelettatura svolte dai gatti e la loro abitudine a dormire aggomitolati può favorire la diffusione delle lesioni agli arti e alla regione perineale. Fig. 2 - Alopecia e croste sugli arti di un gattino con rogna notoedrica.Fig 3 - Lesioni crostose in un gatto affetto da rogna notoedrica generalizzata. Come si fa la diagnosi di rogna notoedrica?   La diagnosi di certezza di rogna notoedrica la ottiene il Medico Veterinario mediante l’osservazione microscopica del parassita e/o delle sue uova e/o delle sue deiezioni (riconoscibili dalla loro forma ovale e il colore marrone scuro) nel materiale raccolto mediante raschiato cutaneo superficiale.I parassiti sono in genere numerosi per cui la diagnosi non presenta particolari difficoltà. Recentemente è stato descritto l’utilizzo dell’esame microscopico del materiale raccolto tramite nastro adesivo trasparente per la diagnosi di rogna notoedrica con una sensibilità sovrapponibile a quella del raschiato cutaneo superficiale.La tecnica appare meno traumatica e indicata per aree corporee non agevoli alla manualità con lama, come le labbra e la regione perioculare. Occasionalmente possono essere osservati adulti o uova in corso di esame coprologico per flottazione. L’esame istologico non è generalmente utilizzato per la diagnosi vista l’estrema facilità con cui si evidenziano i parassiti mediante raschiato cutaneo superficiale. Fig. 4 - Raschiato cutaneo superficiale: adulti uova e deiezioni di Notoedres cati. Come si tratta la rogna notoedrica del gatto ? Il trattamento della rogna notoedrica si basa sull’utilizzo di molecole ad attività acaricida. Attualmente in Italia sono diverse le molecole registrate per il trattamento della rogna sarcoptica in formulazione spot-on. Essendo la rogna notoedrica una malattia estremamente contagiosa è fondamentale il trattamento di tutti gli animali conviventi per evitare ricontaminazioni. In copertina: Lesioni crostose sui margini del padiglione auricolare in un gatto con rogna notoedrica.Tutte le immagini sono gentilmente concesse dall'Autore.  “Medico Veterinario - (Dermatologia, Allergologia, Otologia veterinaria e Parassitologia cutanea).”Dr. Federico LeoneAutore

Il mio cane anziano inizia a fare “cose strane

Il mio cane anziano inizia a fare “cose strane" ... può essere demenza o disfunzione cognitiva senile ?

Il mio cane anziano, soprattutto di notte, è irrequieto, cammina avanti e indietro, sembra spaventato e piange, devo preoccuparmi? (un cane di taglia gigante/grande è anziano a 6-8 anni, se di taglia medio/piccola è anziano a 7-10 anni) Il vagare senza meta, dimenticare i comportamenti appresi, non rispondere perfettamente agli stimoli, incunearsi negli angoli, andare in circolo, sono alterazioni del comportamento che spesso il proprietario riconosce nel proprio animale anziano. Con l’avanzare dell’età anche il cervello del cane invecchia, si chiama demenza o disfunzione cognitiva senile. Come per l’uomo anche per gli animali da compagnia l’invecchiamento non è una malattia ma è parte dell’evoluzione fisiologica della vita.In seguito all’allungamento medio della vita dei nostri animali, che si verifica grazie al buono stile di vita ed alle cure ed attenzioni dei proprietari premurosi, non è infrequente notare queste modificazioni del comportamento quotidiano di un cane anziano. Oltre all’invecchiamento cerebrale, esistono però malattie strutturali acquisite del cervello che possono “mimare” la stessa sintomatologia, basti pensare all’ictus, alle infezioni, ai tumori. Per cui se nei nostri animali anziani dovessimo notare anche solo uno dei cambi di comportamento sopra citati, il consiglio è di rivolgersi prontamente al proprio veterinario curante che effettuerà o richiederà una visita neurologica specialistica. I dati che emergeranno dall’esame neurologico potranno rendere necessari alcuni approfondimenti diagnostici come per esempio esami del sangue e risonanza magnetica del cervello. In questo modo il Medico Veterinario potrà distinguere tra il fisiologico invecchiamento cerebrale (demenza senile) e le malattie strutturali del cervello. Se la diagnosi confermerà la disfunzione cognitiva senile il veterinario potrà suggerire di inserire nella vita quotidiana del nostro “vecchietto” piccoli e divertenti giochi di problem solving che serviranno a rallentare il progressivo invecchiamento. Se, invece, la risonanza magnetica sarà suggestiva di malattia strutturale acquisita, il neurologo, analizzando caso per caso, potrà indicare per il nostro Pet l’appropriato iter terapeutico e la prognosi. Med. Vet., PhD, Diplomata ECVN, EBVS® - European Specialist in Veterinary Neurology - (Neurologia)Dr.ssa Floriana GernoneAutore

ALOPECIA CICLICA DEL CANE

ALOPECIA CICLICA DEL CANE

Cos’è l’alopecia ciclica del cane? L’alopecia ciclica o ricorrente del cane è una malattia ad eziologia non definita, caratterizzata da episodi di alopecia che interessano principalmente la regione dei fianchi. L’alopecia si evidenzia generalmente in alcuni periodi dell’anno, differenti nei diversi emisferi geografici, e regredisce spontaneamente, con ricrescita del pelo, in alcuni mesi. Nel nostro emisfero l’alopecia ciclica del cane compare nei mesi di novembre/marzo per poi regredire in tarda estate, anche se le variazioni climatiche e la continua esposizione alla luce artificiale dei cani che vivono in appartamento, possono modificare la cronologia del suo sviluppo. La stagionalità con cui si manifestano le lesioni suggerisce la possibile influenza della luce e del fotoperiodo. Si è ipotizzato che la causa possa essere legata a modificazioni dei livelli ematici di melatonina o prolattina che sono ormoni strettamente correlati al numero di ore di luce e di buio durante la diverse stagioni. Fig. 1 - Rarefazione del pelo sul fianco di un cane con alopecia ciclica. Ci sono razze predisposte?   Alcune razze canine sono particolarmente predisposte allo sviluppo dell’alopecia ciclica il che fa sospettare che possa esistere una predisposizione genetica. Pur potendosi osservare in diverse razze e incroci l’alopecia ciclica si riscontra frequentemente nel Boxer, nell’Airedale terrier, nel Bulldog inglese, nello Schnauzer, nel Lagotto e nel Bull mastiff. Come si manifesta l’alopecia ciclica del cane ?   Le lesioni sono caratterizzate da una distribuzione simmetrica localizzata alla regione dei fianchi; talvolta può essere interessato un solo fianco oppure è possibile che uno dei due fianchi manifesti lesioni più marcate rispetto all’altro. Le aree alopeciche possono essere di forma e dimensioni variabili; nelle fasi iniziali si osserva generalmente una rarefazione dei peli a margini sfumati. Alla perdita del pelo si associa frequentemente iperpigmentazione e, spesso, all’interno dell’area alopecica iperpigmentata, è possibile osservare la presenza di peli integri che fanno assumere all’alopecia forme morfologiche bizzarre, da lineari ad arciformi, definite da alcuni autori “a carta geografica o a bersaglio”. Fig. 2 - Alopecia ciclica in un Bulldog inglese: notare l’area alopecica di aspetto a bersaglio    La cute alopecica si presenta non infiammata e non pruriginosa anche se in alcuni soggetti è possibile osservare l’insorgenza di follicoliti secondarie che possono generare prurito. In alcuni soggetti l’alopecia si può estendere alle natiche e al costato o può addirittura interessare tutto il tronco. Alcuni soggetti manifestano alopecia ogni anno, in altri può non presentarsi per uno o due anni, e, in altri ancora, è possibile osservare episodi di alopecia simmetrica una sola volta nel corso della vita. Fig. 3 e in copertina - Alopecia ciclica localizzata tra fianco e groppa in un Airedale terrierFig. 4 - Estesa area di alopecia in un Lagotto con alopecia ciclicaCome si tratta l’alopecia ciclica del cane? L’alopecia ciclica rappresenta un problema esclusivamente estetico e nella maggior parte dei casi si risolve spontaneamente per cui non necessita di terapia. L’utilizzo della melatonina è molto controverso e sembra che i migliori risultati si ottengano con la somministrazione preventiva ovvero qualche mese prima del periodo in cui si attende l’inizio dell’alopecia. Recentemente è stato hanno utilizzato con successo il laser terapeutico da alcuni medici veterinari.Immagini: Tutte le immagini sono gentilmente concesse dall'Autore. “Medico Veterinario - (Dermatologia, Allergologia, Otologia veterinaria e Parassitologia cutanea).”Dr. Federico LeoneAutore

Il mio cane e gatto sono diventati gialli … CHE COS’E’ L’ITTERO ?

Il mio cane e gatto sono diventati gialli … CHE COS’E’ L’ITTERO ?

Si definisce ittero la condizione in cui le mucose o la pelle del cane e del gatto assumono un colore giallastro. Questo colore anomalo si sviluppa a causa dell’accumulo nei tessuti di un particolare pigmento, la bilirubina. Questo pigmento viene normalmente prodotto dall’organismo in seguito alla degradazione dei globuli rossi, in cui è presente l’emoglobina, una proteina che trasporta l’ossigeno dai polmoni verso i vari organi dell’organismo. Quando gli eritrociti invecchiano e vengono degradati, l’emoglobina viene trasformata in bilirubina indiretta. Questa si trova libera nel sangue, finché non viene captata dal fegato e trasformata nella bilirubina diretta, in modo che possa essere espulsa nella bile attraversando la cistifellea. Una volta che la bilirubina si trova nell’intestino viene ulteriormente degradata dai batteri intestinali in stercobilina, il pigmento che dona alle feci il caratteristico colorito marrone. Quando la bilirubina aumenta in eccessive quantità, si può accumulare in diversi organi, quali le mucose (Foto 1), la pelle (Foto 2) e il sangue (Foto 3). Foto 1 - Nella foto si può osservare un cane le cui mucose della bocca risultano intensamente colorate di giallo.In tal caso si parla di ittero mucosale.Foto 2 - Nella foto si può osservare un colore intensamente giallastro nella cute di un cane (ittero cutaneo).Per poter evidenziare correttamente questa alterazione negli animali è spesso necessario rasare il pelo (freccia). In questi casi si parla di ittero, un anomalo colorito intensamente giallo che può essere apprezzato durante la visita clinica o durante le comuni procedure degli esami del sangue. L’elevata colorazione del siero, in questi casi, può causare disturbi nelle metodiche di analisi, dando risultati non attendibili degli altri valori all’esame biochimico. Foto 3 - Per effettuare un’analisi biochimica è necessario centrifugare il sangue, prelevato in provette senza anticoagulante, ottenendone così il siero.La foto mostra due provette di siero: quello di destra si presenta con il caratteristico colorito lievemente giallastro e limpido, quello di sinistra (freccia) è invece intensamente giallo.In tal caso si parla di siero itterico. Le varie cause di ittero possono essere generalmente riassunte in tre categorie 1) ittero pre-epatico, se è presente una eccessiva distruzione degli eritrociti 2) ittero epatico, se è presente una grave disfunzione del fegato 3) ittero post-epatico, se è presente una ostruzione nelle vie biliari. Ognuna di queste tre condizioni può avere diverse cause scatenanti. Una delle cause di ittero pre-epatico più comuni nel cane è l’anemia emolitica immunomediata, una malattia per la quale il sistema immunitario distrugge eccessivamente i propri globuli rossi. In questi casi la loro distruzione causa un aumento dell’emoglobina nel sangue. Una volta trasformata in bilirubina, il fegato non riesce a però captarla a causa dell’eccessiva quantità,  finendo così per accumularsi nei tessuti. In alcuni casi, l’anemia emolitica può insorgere in seguito a malattie infettive, assunzione di alcuni farmaci e allo sviluppo di tumori. Altre cause meno comuni di eccessiva distruzione dei globuli rossi possono essere una carenza di fosforo (ipofosfatemia) e difetti genetici congeniti che colpiscono i globuli rossi. Una grave disfunzione del fegato rende invece impossibile processare ed espellere la bilirubina prodotta dall’organismo (ittero epatico). Le cause di ittero epatico più comuni sono la lipidosi epatica (accumulo eccessivo di grasso nel fegato), soprattutto nel gatto, malattie infettive o malattie del sistema immunitario che colpiscono il fegato, assunzione di farmaci e piante epatotossiche, tumori del fegato e lo sviluppo di una insufficienza epatica. Quando la bilirubina prodotta del fegato non riesce ad essere correttamente espulsa attraverso bile a causa di una ostruzione delle vie biliari si parla di ittero post-epatico. Un accumulo di calcoli o di muco (mucocele) nella cistifellea sono alcune delle cause più comuni nel cane. Altre cause possono essere una infiammazione o infezione delle vie biliari (colangite) o del pancreas (pancreatite), tumori delle vie biliari o del fegato, che possono causare un’ostruzione al flusso della bile, oppure ingestione di oggetti o “corpi estranei” che si bloccano nell’intestino, vicino allo sbocco della cistifellea, causando un blocco nel flusso della bile. Nel caso di una completa ostruzione delle vie biliari, la bile non riesce ad essere correttamente espulsa nell’intestino. Ciò determina una carenza di pigmento nelle feci, il cui classico colorito marrone viene a mancare: in questo caso si possono osservare delle caratteristiche feci molto pallide, dette “acoliche”. Poiché le cause di ittero sono diverse e molto differenti tra di loro, il Medico Veterinario potrà richiedere un serie di analisi per evidenziarne le cause: un esame emocromocitometrico e un esame biochimico sono gli esami preliminari essenziali che verranno richiesti. Sulla base dei primi risultati e delle informazioni cliniche, il Medico Veterinario potrà richiedere ulteriori accertamenti diagnostici (esame ecografico dell’addome, esami sierologici o batteriologici, esame citologico del fegato, esame delle urine, etc.). Un’adeguata terapia è sempre necessaria per poter risolvere l’ittero negli animali: il trattamento farmacologico verrà impostato dal Medico Veterinario sulla base della malattia sottostante. Nel caso in cui l’ittero sia dovuto ad un’ostruzione delle vie biliari, potrà essere necessario intervenire con un intervento chirurgico tempestivo. La prognosi dipende strettamente dalla causa scatenante dell’ittero: pertanto è sempre importante indagare attentamente l’ittero nel cane e nel gatto il prima possibile.Tutte le immagini sono gentilmente concesse dall'autore.Articolo redatto con la collaborazione del Dr. Francesco Lunetta “DVM, Diplomato ECVIM-CA, EBVS® - European Veterinary Specialist in Small Animal Internal Medicine - Animali da compagnia, Endocrinologia non riproduttiva, medicina interna e terapia (Malattie Metaboliche).”Prof. Federico FracassiAutore

IL DOTTO ARTERIOSO PERVIO (PDA)

IL DOTTO ARTERIOSO PERVIO (PDA)

Il dotto arterioso è una struttura vascolare che mette in comunicazione la circolazione sistemica (aorta ascendente) con la circolazione polmonare (arteria polmonare) durante la vita fetale. Subito dopo la nascita, mediante dei meccanismi che si instaurano nelle prime fasi di vita, il dotto arterioso si oblitera, trasformandosi in legamento arterioso (che è dunque presente nell’animale adulto). Si parla pertanto di dotto arterioso pervio (PDA) quando vi è la mancata obliterazione di tale struttura, con conseguente passaggio continuo di sangue dall’aorta all’arteria polmonare. Questa patologia è più frequente nel cane, nel quale rappresenta anche la malattia cardiaca congenita (ovvero presente sin dalla nascita) più frequente, ma non raramente la si riscontra anche nel gatto. Tra le razze canine maggiormente colpite sono annoverate il Pastore Tedesco, il Maltese, il Barboncino, il Terranova, il Border Collie. I cani di sesso femminile risultano più predisposti di quelli di sesso maschile, mentre nel gatto non è stata dimostrata alcuna predisposizione di sesso.    Sintomatologia    La sintomatologia dei soggetti affetti da PDA varia in funzione delle dimensioni del dotto e dalla conseguente quota di sangue che lo attraversa. Solitamente i cuccioli affetti da questa cardiopatia congenita rimangono più piccoli rispetto ai fratelli della stessa cucciolata e l’accrescimento risulta stentato, o comunque ridotto. I cani con dotti di piccole dimensioni possono essere completamente asintomatici, e l’unica anomalia sarà il soffio (definito di tipo continuo) riscontrato alla visita del Medico Veterinario, altrimenti vengono riportati riluttanza all’attività fisica e scarsa tollerabilità della stessa. Nei pazienti con dotti di dimensioni più ampie si possono manifestare sintomi relativi allo scompenso cardiaco già a partire dai primi mesi di vita, quindi il cane avrà un aumento della frequenza respiratoria (tachipnea), difficoltà respiratoria (dispnea) con respiro a bocca aperta ed una compartecipazione addominale importante; potrà comparire tosse, il paziente potrà tenere la testa allungata sul collo, in segno di fame d’aria, essere riluttante al coricarsi ed essere disappetente, fino ad anoressico completamente. Se il PDA è di dimensioni tali da determinare un importante rimodellamento cardiaco, questa patologia può essere anche responsabile di morte se non trattato.    Indagini diagnostiche necessarie per la diagnosi e stadiazione della patologia   Il sospetto della presenza di un PDA viene emesso dal Medico Veterinario dopo la visita clinica del paziente.  All’auscultazione cardiaca del pet affetto infatti sarà presente e ben riconoscibile un soffio cardiaco con delle caratteristiche specifiche: un soffio continuo (indicativo del passaggio di sangue attraverso il dotto durante tutte le fasi del ciclo cardiaco) con massima intensità sotto l’ascella sinistra, esattamente dove si trova il focolaio di auscultazione del Dotto di Botallo, solitamente di alta intensità con la percezione di un fremito precordiale (sensazione di fruscio sotto le nostre mani poggiate lievemente a livello toracico nell’area di proiezione cardiaca). Nelle fasi avanzate della cardiopatia si può percepire un ulteriore soffio nel focolaio mitralico, determinato dall’insufficienza mitralica funzionale instauratasi in seguito alla dilatazione cardiaca, nello specifico del ventricolo sinistro. Un altro segno clinico caratteristico è il polso femorale martellante.  Per formulare una diagnosi conclusiva è necessario eseguire un esame ecocardiografico, il quale fornisce non solo informazioni relative alle dimensioni del dotto, alle sue caratteristiche anatomiche e del flusso (direzione e velocità), permettendone una diagnosi di certezza escludendo le altre patologie congenite che possono dare rilievi clinici molto simili, ma fornisce anche informazioni sulle alterazioni determinate dal PDA, come la presenza e severità di rimodellamento cardiaco.  I pazienti con dotto arterioso pervio (PDA) vengono inoltre sottoposti ad esame elettrocardiografico per indagare il ritmo cardiaco e studiarne eventuali alterazioni (la più frequente in questo caso è la fibrillazione atriale che si instaura solitamente nei soggetti con importanti rimodellamenti cardiaci). L’esame radiografico del torace è un esame altrettanto importante che viene eseguito per valutare la cardiomegalia, la congestione vascolare e l’eventuale presenza di infiltrato polmonare; questo esame è di fondamentale importante in fase pre e post chirurgica.   Terapia del dotto arterioso pervio   I soggetti affetti da PDA con shunt sinistro-destro devono essere sottoposti alla chiusura del dotto, mediante metodica chirurgica od interventistica. Queste procedure determinano la risoluzione del problema consentendo ai soggetti operati qualità ed aspettativa di vita.  Il primo PDA è stato chiuso in medicina veterinaria attraverso metodo chirurgico nel 1968. Ad oggi il Gold Standard è rappresentato dalla metodica interventistica, mentre l’approccio chirurgico, che consiste nella legatura del dotto pervio tramite toracotomia, è riservato a pazienti di dimensioni e peso ridotti (che quindi avranno un ridotto accesso vascolare per la metodica mininvasiva), a pazienti con dotti di grandi dimensioni (> 9mm) o nei rari casi in cui la morfologia del dotto si presenta tubulare (dotto tipo III).  La metodica interventistica permette un approccio mini-invasivo, in cui l’accesso viene eseguito da un’arteria periferica (l’arteria femorale), attraverso cui si raggiungere il dotto con specifici cateteri atti al posizionamento del dispositivo per la chiusura del dotto. Negli ultimi anni la chiusura del PDA viene effettuata utilizzando il dispositivo ACDO® (Amplatzer Canine Duct Occluder), una struttura progettata sulla base dell’anatomia del PDA canino; in alternativa vengono utilizzati i COIL, che sono delle spirali di metallo che, rilasciate all’interno del dotto, determinano un’embolizzazione controllata. Anche altri dispositivi vengono posizionati in casi più particolari. La scelta del dispositivo più idoneo è correlata alla taglia del soggetto e alle dimensioni del dotto, misurate dapprima tramite l’ecocardiografia transtoracica (TTE) e successivamente con l’ecocardiografia transesofagea (TEE). Nel caso quest’ultima non permetta la visualizzazione appropriata del dotto viene eseguita un’angiografia (iniezione di mezzo di contrasto).   Quando sottoporre il paziente a chiusura del PDA   Si vuole sottolineare quanto sia importante la celerità e la precocità con cui questo difetto venga corretto, difatti la chiusura precoce del dotto (entro l’anno di età) aumenta la possibilità di un rimodellamento inverso e dunque il ripristino di condizioni cardiache di normalità. Altrettanto importante è sottolineare il fatto che, in accordo con le linee guida di medicina umana, non tutti i soggetti affetti da PDA devono essere sottoposti ad intervento di chiusura, difatti in assenza di alterazioni secondarie di morfologia e funziona cardiaca, con dotti di piccole dimensioni, si può decidere di monitorare il paziente e valutarne l’evoluzione.  Discriminatoria e di fondamentale importanza sulla prognosi del paziente risulta dunque essere la valutazione cardiologica. Una volta chiuso il dotto l’aspettativa di vita di questi soggetti può diventare pari a quella di un animale sano, a seconda del quadro clinico sviluppato dal paziente: soggetti che presentano alterazioni del ritmo cardiaco (fibrillazione atriale) avranno ovviamente una prognosi differente rispetto a quelli con debole/assente rimodellamento cardiaco secondario.   dotto arterioso pervio (PDA) inverso   In presenza di dotti di grandi dimensioni può verificarsi quella che viene definita “sindrome di Eisenmenger”, caratterizzata da un’inversione dello shunt (quindi il flusso ematico diventa destro-sinistro). In questi casi, nei primi mesi di vita del soggetto, le arteriole polmonari subiscono un rimodellamento tale da determinare ipertensione polmonare, portando quindi ad una condizione clinica differente da quanto descritto in precedenza. In questi soggetti non è difatti presente il soffio cardiaco e si osserva frequentemente policitemia, indotta dalla scarsa perfusione polmonare. La terapia in questi casi consiste nella somministrazione di antagonisti della fosfodiesterasi (PDE) per ridurre l’ipertensione polmonare. La prognosi è peggiore rispetto a quella dei soggetti con shunt sinistro-destro in quanto non è possibile trattare in modo definitivo la causa principale, tuttavia se si riesce a ridurre le pressioni tanto da invertire ulteriormente lo shunt, può diventare possibile la chiusura del difetto con miglioramento della prognosi stessa.    In copertina - Scansione ecografica transtoracica parasternale destra ottimizzata per il dotto arterioso: lo studio color Doppler identifica il flusso che attraversa il dotto come jet sinistro-destro e rappresentato nell’immagine ecografica come mosaico di colori. In copertina: Le foto sono gentilmente concesse dagli Autori.“Med. Vet., Med Vet, GPCert in Cardiologia - (Cardiologia)”Dr.ssa Marta ClarettiAutore

LA DERMATITE ALLERGICA ALLE PULCI NEL CANE

LA DERMATITE ALLERGICA ALLE PULCI NEL CANE

Cos’è la dermatite allergica alle pulci?   La dermatite allergica alle pulci (DAP), o ipersensibilità al morso della pulce, è la malattia pruriginosa più frequente nel cane. E’ essenziale effettuare una distinzione tra infestazione da pulci (pulicosi) e dermatite allergica alle pulci in quanto nella prima il prurito è proporzionale al numero di parassiti presenti sull’animale mentre la seconda è una malattia allergica immunomediata in cui il prurito non è proporzionale alla carica parassitaria ma è legato a una risposta immunitaria contro allergeni salivari della pulce anche se presenti in dosi minime. Gli allergeni salivari inducono, in alcuni soggetti, una risposta di ipersensibilità di tipo I e IV ma anche ipersensibilità basofila o una risposta ritardata IgE mediata.   Come si manifesta la dermatite allergica alle pulci?   Il segno clinico principale e costante che il proprietario può evidenziare è il prurito che può essere intenso.  Il prurito ha spesso un comportamento caratteristico in quanto il cane tende a girarsi improvvisamente e mordicchiare il punto in cui la pulce ha inoculato la saliva (cosiddetto “prurito a scatto”). La distribuzione delle lesioni è molto suggestiva in quanto interessa tipicamente la regione dorso-lombare, posteriore delle cosce, inguinale e base della coda.  Inizialmente le lesioni sono rappresentate da una dermatite eritematosa-papulare che con il progredire del prurito esita in alopecia autoindotta, escoriazioni, croste e dermatite piotraumatica.  Nei cani a mantello chiaro si può notare una colorazione ruggine del pelo dovuta al leccamento.  Nei casi cronici si osservano complicazioni da batteri e lieviti con comparsa di pustole, desquamazione, lichenificazione e iperpigmentazione. Fig.1 - Eritema, alopecia e desquamazione che si estendono dal dorso fino alla coda in un cane meticcio con dermatite allergica alle pulci.   Nei casi cronici si osservano complicazioni da batteri e lieviti con comparsa di pustole, desquamazione, lichenificazione e iperpigmentazione. Fig.2 - Lichenificazione e desquamazione della regione dorso lombare in un cane meticcio con lesioni croniche da dermatite allergica alle pulci. Come si fa la diagnosi di dermatite allergica alle pulci?   La diagnosi di dermatite allergica alle pulci che il Medico Veterinario emette, si basa sull’anamnesi (profilassi antiparassitaria eseguita non correttamente o assente), l’esame clinico (topografia e tipologia delle lesioni), sull’evidenziazione di parassiti adulti o loro escrementi sull’animale e sulla risposta ad una corretta terapia antiparassitaria. L’esame visivo o con lente d’ingrandimento può talvolta permettere di evidenziare i parassiti adulti in movimento sul mantello e sulle aree più glabre dell’animale o i loro escrementi visibili come piccoli residui nerastri immobili sul mantello. La tecnica di elezione è rappresentata dall’esame microscopico del materiale raccolto con nastro adesivo trasparente previo spazzolamento del mantello. La tecnica prevede di spazzolare energicamente con un pettine a denti stretti o con le mani il mantello dell’animale facendo cadere il materiale sul tavolo che successivamente viene raccolto con il nastro adesivo e osservato al microscopio. Con questa tecnica è possibile raccogliere pulci adulte e loro escrementi, questi ultimi riconoscibili per la loro caratteristica morfologia a virgola o a spirale e il loro colore rosso vivo legato all’elevato contenuto ematico. Fig. 4 - Immagine microscopica di escrementi di pulce con la loro tipica forma a virgola Come si tratta la dermatite allergica alle pulci? Il trattamento della dermatite allergica alle pulci che il Medico Veterinario imposta si basa sul concetto di lotta integrata alle pulci che comprende: Rapida uccisione delle pulci adulte sull’animale utilizzando un adulticida in grado di ridurre al minimo o eliminare l’esposizione agli antigeni salivari della pulce al fine di prevenire le manifestazioni cliniche Utilizzo continuativo e regolare dell’adulticida per tutti i mesi dell’anno Terapia ambientale utilizzando prodotti in grado di prevenire la schiusa delle uova e lo sviluppo delle larve Trattamento di tutti gli animali conviventi Terapia anti infiammatoria e anti pruriginosa  Trattamento delle eventuali sovrainfezioni batteriche e/o fungine In copertina: Escrementi di pulce sul mantello di un cane con dermatite allergica da pulci.Tutte le immagini sono gentilmente concesse dall'Autore.  “Medico Veterinario - (Dermatologia, Allergologia, Otologia veterinaria e Parassitologia cutanea).”Dr. Federico LeoneAutore

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