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ASMA FELINA

ASMA FELINA

L’asma felina è una patologia che colpisce le vie aeree profonde (i cosiddetti bronchioli), che interessa principalmente gatti di età adulta ed ha una prevalenza di circa l’1%.   Trattandosi di una patologia cronica, non esiste una cura che possa guarire definitivamente l’animale, tuttavia lo scopo delle terapie che vengono messe in atto è quello di tenere sotto controllo i sintomi e consentire al gatto di condurre una vita normale.    DA COSA E’ CAUSATA QUESTA PATOLOGIA?  Ci sono diversi fattori coinvolti nello sviluppo dell’asma felina, in primis un fenomeno di ipersensibilità delle vie aeree più profonde nei confronti di comuni allergeni ambientali quali polveri, profumi, muffe, fumo di sigaretta o sostanze chimiche irritanti, che portano ad una reazione infiammatoria esagerata. Oltre alle cause allergiche esiste inoltre una predisposizione genetica nelle razze orientali, come ad esempio il Siamese (figura 1).  Ciò che ne deriva è un fenomeno chiamato broncocostrizione, ovvero un meccanismo difensivo messo in atto dall’organismo che ha lo scopo di impedire l’ingresso di sostanze irritanti tramite la contrazione della muscolatura liscia. Oltre a questo, a livello di vie aeree profonde vengono prodotte ingenti quantità di muco, che vengono espulse mediante lo sviluppo della tosse. L’insieme di questi eventi determina una riduzione dell’afflusso di aria negli alveoli, deputati allo scambio di ossigeno con il sangue, con conseguente difficoltà respiratorie da parte del gatto.  Foto 1 e in copertina: gatto siamese, una razza particolarmente predisposta allo sviluppo di asma felina QUALI SONO I SINTOMI PIU’ COMUNI? Come è facile pensare, la sintomatologia è prettamente di tipo respiratorio e può insorgere in concomitanza al contatto con una delle sostanze allergizzanti sopracitate o può comparire in assenza di apparenti fattori scatenanti.  Fra un attacco respiratorio e l’altro (crisi asmatica) il gatto può risultare asintomatico. I segni clinici dell’asma sono estremamente variabili anche se sono descritti due quadri principali: la crisi asmatica acuta e il quadro cronico caratterizzato da tosse e alterata meccanica respiratoria. Gatti con crisi asmatica acuta possono presentare una respirazione a bocca aperta, tachipnea (aumento della frequenza respiratoria), alterata meccanica respiratoria (dispnea). La malattia cronica è caratterizzata da accessi di tosse a varia intensità e frequenza, tanto che spesso la malattia viene ignorata per lunghi periodi, permettendo modifiche permanenti alle vie respiratorie inferiori. In aggiunta a queste classiche presentazioni si stima che una percentuale variabile dal 10 al 15 % abbia come sintomo prevalente sforzi di tosse secca seguita da vomito, cosa questa spesso confusa con problema prevalentemente gastroenterico (tentativi di espulsione di tricobezoari). I principali segni clinici sono dunque:  Tosse, anche ad accessi ripetuti e con possibile fuoriuscita di muco biancastro Dispnea, ovvero difficoltà respiratoria più o meno grave, accompagnata spesso da rumori come i sibili Spossatezza e letargia  Disappetenza Fame d’aria e labbra e/o gengive bluaste, nei casi molto gravi in cui si rende evidente il mancato ingresso di normali quantità di ossigeno nei polmoni.    INDAGINI DIAGNOSTICHE  Purtroppo, non esiste un unico test che consenta di diagnosticare con certezza questa patologia, bensì la diagnosi viene fatta per esclusione, ovvero andando ad eseguire indagini diagnostiche volte ad escludere altre patologie con presentazioni simili come infezioni batteriche, patologie cardiache, corpi estranei migranti, parassitosi polmonari o tumori.   Ecco gli step diagnostici più comunemente effettuati dal veterinario:  Anamnesi accurata con il proprietario del gatto, che sarà colui che potrà fornire tutte le informazioni inerenti all’ambiente in cui il gatto vive e alle sostanze con cui può potenzialmente entrare in contatto. Egli conosce al meglio il suo comportamento in ambiente domestico e può dunque raccontarlo o documentarlo tramite filmati, che saranno utilissimi al veterinario per giungere ad una diagnosi. Visita clinica e valutazione della sintomatologia Esami del sangue e delle feci (nelle feci possono essere presenti larve di parassiti polmonari) Radiografie del torace (Figura 2) in più proiezioni Eventuale endoscopia delle vie aeree e lavaggio broncoalveolare (anche chiamato BAL), che consente di prelevare materiale presente a livello polmonare ed utilizzarlo per l’analisi citologica (ovvero la valutazione delle cellule presenti) e per l’esame batteriologico.   Foto 2 - Radiografia latero-laterale di un gatto affetto da asma. Sono presenti delle alterazioni dei bronchi. In termini tecnici si parla di pattern bronchiale generalizzato associato a locale coinvolgimento interstiziale. (Archivio radiografico del Servizio di Diagnostica per Immagini- Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Università di Bologna) PARLIAMO DI TERAPIE! La cosa fondamentale quando ci si trova di fronte ad uno o più sintomi ascrivibili a questa patologia è contattare subito il proprio veterinario, che è l’unico in grado di scegliere il trattamento più adeguato.  Come spiegato all’inizio, il trattamento terapeutico è volto a minimizzare gli effetti causati dall’asma felina e prevenire lo sviluppo di sintomi gravi e potenzialmente rischiosi per la vita.  La prima cosa da fare è cercare di intervenire sull’ambiente in cui vive il gatto, ovvero ridurre al minimo o, se possibile, rimuovere completamente gli stimoli allergici presenti. Ecco alcuni consigli:  Rimuovere profumatori ambientali, incensi o candele profumate Allontanare dalle zone maggiormente frequentate dal gatto o tenere in un luogo chiuso detersivi e/o prodotti per la pulizia Non utilizzare lettiere troppo polverose o con odori intensi Evitare il contatto del gatto con il fumo di sigaretta Qualora tutto ciò non fosse sufficiente sarà opportuno ricorrere ad una terapia farmacologica, variabile da soggetto a soggetto, a seconda della gravità della patologia e dell’entità dei sintomi clinici ad essa correlati.  I farmaci maggiormente utilizzati sono:  Cortisonici: utilizzati a livello locale, sottoforma di aerosol o di puff, o a livello sistemico tramite compresse dosate sulla base del peso del gatto.Questi farmaci sono molto potenti ed hanno lo scopo di diminuire l’infiammazione a carico delle vie aeree. Essi non sono però esenti da effetti collaterali e pertanto vengono generalmente utilizzati ad un dosaggio più elevato in corrispondenza delle fasi acute e vengono successivamente scalati con il passare del tempo. L’obiettivo è quello di trovare la cosiddetta dose minima efficace, ovvero la quantità più bassa di farmaco che consenta di rimuovere in parte o del tutto i sintomi clinici.  Broncodilatatori: il loro scopo è quello di dilatare le vie aeree agevolando il flusso di aria, specialmente in entrata. Mucolitici: qualora sia presente un’eccessiva quantità di muco, che potrebbe essere anche causa di disappetenza da parte del gatto, è possibile aggiungerli al piano terapeutico.    COME EVOLVE QUESTA SINDROME? E’ sempre consigliato intervenire il più precocemente possibile, prima che la situazione sia compromessa. Con il passare del tempo, infatti, il persistere di fenomeni broncocostrittivi ed infiammatori può causare un rimodellamento delle vie aeree con una considerevole e permanente riduzione del loro lume.  In caso di asma felina, comunque, la prognosi risulta generalmente buona, ma richiede una terapia a vita e molta attenzione da parte del proprietario al manifestarsi di episodi acuti, che richiedono sempre l'intervento tempestivo del vostro Medico Veterinario di fiducia.Con la collaborazione della Dr.ssa Mariachiara ReLe immagini sono gentilmente concesse dagli autori “DVM, Diplomato ECVIM-CA, EBVS® - European Veterinary Specialist in Small Animal Internal Medicine - Animali da compagnia, Endocrinologia non riproduttiva, medicina interna e terapia (Malattie Metaboliche).”Prof. Federico FracassiAutore

L’ACROMEGALIA NEL GATTO

L’ACROMEGALIA NEL GATTO

L’acromegalia è una malattia causata da un aumento nella produzione dell’ormone della crescita (GH): quest’ultimo viene normalmente prodotto da una ghiandola situata alla base del cervello, l’ipofisi, permettendo la normale crescita dei vari tessuti fino al raggiungimento dell’età adulta. Nei gatti affetti da acromegalia, il GH viene ad essere prodotto in quantità eccessive durante la fase adulta, causando varie alterazioni fisiche e predisponendo allo sviluppo di diverse problematiche, tra cui una condizione di diabete mellito, spesso di difficile controllo. Negli ultimi anni diversi studi hanno dimostrato come l’acromegalia risulti essere più frequente di quello che si credeva in passato: viene infatti stimato che circa il 10-20% dei gatti diabetici sia affetto da questa malattia.   LE CAUSE DI ACROMEGALIA L’eccessiva produzione di GH è dovuta, nella maggior parte dei casi, ad un tumore con comportamento benigno (adenoma) della ghiandola ipofisi. In situazioni più rare la causa scatenante può anche essere un’iperplasia ipofisaria; questa seconda condizione è difficilmente individuabile dalle comuni tecniche diagnostiche e, pertanto, difficilmente diagnosticabile. In rari casi la malattia può essere data da un tumore con comportamento maligno (carcinoma) dell’ipofisi.   SEGNI CLINICI La maggior parte dei gatti con acromegalia presenta gli stessi segni clinici del diabete mellito. Si tratta di gatti adulti o anziani, più frequentemente di sesso maschile e sovrappeso, in cui spesso la diagnosi di diabete è già stata effettuata dal Medico Veterinario, in cui spesso la terapia insulinica risulta di difficile gestione. Frequentemente i gatti con acromegalia richiedono dosi insuliniche molto elevate;  nonostante le dosi elevate, spesso il diabete risulta mal controllato, (es. presenza di una condizione di iperglicemia persistente). Questi gatti sono pertanto spesso affetti da un aumentata frequenza dell’urinare (poliuria), un aumento del bere (polidipsia) e della sensazione di fame (polifagia). Nei gatti acromegalici a volte si osserva un appetito incredibile e possono arrivare a mangiare persino verdure crude. Talvolta si può notare, nel corso del tempo, un’eccessiva crescita dei tessuti del cranio e delle zampe, con conseguente allargamento della testa e prognatismo (Foto in copertina). La presenza di rumori respiratori (es. rumori russanti durante il sonno) possono essere dovuti ad un eccessivo accrescimento dei tessuti molli della faringe. In casi più gravi si può osservare lo sviluppo di problemi deambulatori, dovuti a una degenerazione delle articolazioni o a una neuropatia diabetica (es. plantigradia) oppure allo sviluppo di insufficienza cardiaca, causata da un aumento di volume del cuore (cardiomegalia). Foto 1: gatto comune europeo, maschio castrato di 12 anni affetto da acromegalia.Il soggetto è affetto da diabete mellito, manifesta testa leggermente aumentata di volume e prognatismo. EFFETTUARE LA DIAGNOSI In gatti in cui la diagnosi di diabete mellito è già stata effettuata, bisogna escludere le principali cause di mancato controllo della glicemia (TABELLA 1). In seguito ad una visita clinica, il Medico Veterinario potrà richiedere alcuni esami di laboratorio (esame emocromocitometrico e biochimico, esame delle urine, esame batteriologico delle urine ed esami ormonali) o esami strumentali (es. esame ecografico) per escludere le principali cause di uno scarso controllo glicemico. L’acromegalia può successivamente essere individuata attraverso il dosaggio sierico di un particolare ormone chiamato IGF-1 (insulin growth factor 1) che risulta particolarmente elevato. La conferma diagnostica prevede la valutazione della massa ipofisaria attraverso l’uso della risonanza magnetica (RM) o della tomografia computerizzata (TC) del cranio.   TABELLA 1: principali cause di uno scarso controllo glicemico nei gatti affetti da diabete mellito Errata gestione terapeutica Alterazioni ormonali Malattie infettive/infiammatorie concomitanti Altre cause Errata somministrazione o conservazione dell’insulina Acromegalia Infezioni delle vie urinarie Alterato assorbimento insulinico Somministrazione di un’insulina inadatta alla specie felina Ipercortisolismo (Sindrome di Cushing) Infezioni delle gengive e della bocca (gengivo-stomatite) Alterato svuotamento gastrico Errata alimentazione Ipertiroidismo Pancreatite Somministrazione di ormoni diabetogeni (es cortisonici)     Obesità     TERAPIA E PROGNOSI L’obiettivo della terapia è quella di eliminare la causa scatenante (il tumore secernente il GH) e/o di contrastare gli effetti del GH in eccesso. La terapia d’elezione consigliata è l’ipofisectomia, una chirurgia che permette di rimuovere il tumore ipofisario, ottenendo così una completa remissione della malattia. La chirurgia deve essere effettuata in centri specializzati, presso i quali i rischi dell’intervento sono ridotti al minimo. Nella gran parte dei gatti acromegalici, sottoposti ad ipofisectomia, si assiste alla remissione del diabete mellito. In seguito alla rimozione dell’ipofisi, le altre normali funzioni ormonali di questa ghiandola devono essere sostituite con adeguate terapie a vita: al gatto dovranno quindi essere somministrati specifici farmaci, ossia la così detta “terapia sostitutiva”. Un’alternativa terapeutica alla chirurgia è la radioterapia, ovvero l’irradiazione dell’ipofisi con un fascio di radiazioni, che provoca la morte delle cellule tumorali permettendo un miglioramento della condizione clinica fino all’80% dei casi. Questa terapia necessita di diverse somministrazioni (solitamente 4-5 sedute settimanali per 4 settimane) da effettuare in anestesia generale. Nella maggior parte dei casi questa terapia non è tuttavia risolutiva, ma può essere presa in considerazione per diminuire il volume del tumore ipofisario e ridurre l’insulino-resistenza. È possibile decidere di gestire l’acromegalia e il diabete mellito esclusivamente attraverso la terapia insulinica. In questi casi risulta necessario somministrare dosaggi spesso elevati di insulina, monitorando in modo attento e frequente la glicemia del gatto, al fine di evitare lo sviluppo di ipoglicemia (un evento frequente in gatti che assumono dosaggi elevati di insulina per lunghi periodi di tempo) e cercando di ottenere una buona qualità di vita ed eliminando i segni clinici più gravi. L’utilizzo di farmaci analoghi della somatostatina, che hanno la finalità di bloccare la produzione di GH), risulta efficace in pazienti umani. Anche nel gatto i primi studi su tali farmaci si sono dimostrati promettenti. Gli elevatissimi costi e i possibili effetti collaterali (soprattutto gastroenterici)  hanno fatto si che questa ad oggi non sia una modalità terapeutica raccomandata. La prognosi della malattia dipende dall’opzione terapeutica scelta. Un recente studio multicentrico internazionale, coordinato dall’Università di Bologna, ha osservato che l’aspettativa di vita mediana di un gatto acromegalico è di 2 anni dalla diagnosi. Mediano significa che il 50% dei soggetti vive meno di due anni e il 50% più di due anni. A volte si raggiungono tempi di sopravvivenza molto lunghi (molti anni), soprattutto nei gatti che vengono trattati chirurgicamente.In collaborazione con il Dr. Francesco LunettaLe Foto sono gentilmente concesse dagli Autori. “DVM, Diplomato ECVIM-CA, EBVS® - European Veterinary Specialist in Small Animal Internal Medicine - Animali da compagnia, Endocrinologia non riproduttiva, medicina interna e terapia (Malattie Metaboliche).”Prof. Federico FracassiAutore

Alterazioni della flora intestinale

Alterazioni della flora intestinale

DISBIOSI Il microbiota intestinale è il nome dato all’insieme di microrganismi (batteri, virus, protozoi, funghi) che vivono nel tratto gastrointestinale, in cui i batteri sono la componente più abbondante. Svolgono miriadi di funzioni fondamentali per la salute dell’ospite  e producono metaboliti che interessano anche altri organo e non solo il tratto gastrointestinale. La disbiosi intestinale è una qualsiasi alterazione del numero e della composizione microbica del microbiota intestinale. In sostanza con disbiosi si intende uno stato in cui l’ecosistema microbico non è in equilibrio ed è in genere caratterizzata dalla riduzione del numero di specie e della diversità microbica.Spesso si ha un’eccessiva crescita dei microrganismi appartenenti a una sola specie o poche altre, che prendono il sopravvento. Nello stesso tempo vengono meno o sono modificati metaboliti chiave prodotti da ceppi specifici con conseguente alterazione delle funzioni fondamentali. La disbiosi non è associata solo a patologie gastroenteriche acute e croniche ma anche a patologie sistemiche come diabete, dermatite atopica, obesità anche se recentemente sempre più evidenze associano la disbiosi a patologie neurologiche e alterazioni del comportamento (asse intestino cervello). Un principio importante da tenere presente è che la disbiosi intestinale non rappresenta una patologica a sé stante, quanto piuttosto un fattore predisponente e di mantenimento di tutta una serie di patologie che sono ad essa associate.   Fattori e patologie predisponenti Ecco un elenco  di possibili  fattori predisponenti la disbiosi: Enteropatie acute e croniche Predisposizione di razza a sviluppare enteropatie croniche Infiammazione intestinale  Farmaci  Diete non bilanciale o di scarsa qualità Insufficienza pancreatica  Invecchiamento Disturbi della motilità: primari o secondari Parto cesareo Allattamento artificiale   Quali sono i segni e i sintomi che devono indurre a sospettare l’esistenza di una disbiosi?   Purtroppo i soggetti che soffrono di una perdita di varietà della propria flora batterica manifestano una serie di segni clinici e sintomi molto aspecifici che però si riferiscono tutti a un’alterata funzionalità dell’apparato gastrointestinale:  Problemi gastroenterici (diarrea, nausea, vomito, inappetenza, polifagia, flatulenza, crampi addominali, tendenza a ingerire corpi estranei, mangiare erba) Perdita di peso e scarsa condizione corporea Feci di consistenza troppo molle o troppo dura  Alito cattivo Problemi comportamentali e perdita di vivacità Dermatiti ricorrenti COME PREVENIRE E CORREGGERE UNA DISBIOSIInvertire una tendenza alla disbiosi può essere difficile e richiede tempo. Inoltre le risposte alla dieta, come altri approcci, sono caratterizzate da un’elevata variabilità individuale.   Dieta La modulazione dietetica dovrebbe essere sempre parte del trattamento e sicuramente il primo step, poiché non ha alcun impatto negativo sul microbiota intestinale. In linea generale la dieta deve essere: Altamente digeribile per ridurre nel lume intestinale la presenza di materiale indigerito. Utilizzo di proteine idrolizzate o di diete con una fonte proteica nuova, per abbassare la risposta infiammatoria, che è uno dei maggiori fattori predisponenti.  Un giusto apporto di fibra (tra cui fibre solubili o fermentabili).  Le fibre per la motilità  intestinale  e per la qualità delle feci, possono essere benefiche per la flora intestinale (favoriscono l’arricchimento della flora intestinale, inoltre la fermentazione delle fibre è cruciale nella difesa dai microrganismi patogeni)   Probiotici (fermenti lattici)  I probiotici potrebbero in teoria contribuire a un microbiota intestinale sano, ma mancano dati oggettivi relativi ai cani e a moltre altre specie.Hanno comunque effetti benefici sulla salute dell’ospite. Alcuni migliorano la funzionalità della barriera intestinale, altri modulano il sistema immunitario e altri ancora hanno effetti antimicrobici.Anche in questo caso c’è una notevole variabilità individuale nella risposta    Antibiotici Hanno per definizione la capacità di modulare il microbiota. In alcuni casi sono efficaci, ma il loro utilizzo va valutato attentamente dato che hanno notevoli effetti collaterali. La somministrazione prolungata infatti favorisce la disbiosi e non sono quindi indicati come prima opzione per la cura.  Antinfiammatori ed Immunosoppressori  Anche se non è ancora chiaro se la disbiosi sia la causa o la conseguenza delle malattie infiammatorie intestinale è evidente che le due condizioni sono strettamente associate. Il ritorno verso uno stato di equilibrio (eubiosi) può essere pesantemente impedito dalla presenza di uno stato infiammatorio cronico. In questo caso l’utilizzo di questi farmaci permette l’interruzione del ciclo infiammazione-disbiosi. Tutti questi trattamenti sono caratterizzati da una elevata variabilità individuale nella risposta. Questo è legato alla diversa composizione del microbiota anche in corso di patologie clinicamente sovrapponibili. Un certo tipo di microbiota può rispondere in modo diverso a un trattamento piuttosto che a un altro. CONCLUSIONIÈ importante che il Medico Veterinario valuti ogni singolo caso clinico come fosse un "caso unico" per trovare un percorso valido a raggiungere una diagnosi corretta e una terapia efficace.     “DVM, PhD, Diploma Master Universitario II livello in Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva, consulente nutrizionale (Clinical Nutrition).".Dr. Giuseppe FebbraioAutore

Cosa è il microbiota?

Cosa è il microbiota?

Cos è il microbiota? Spesso sentiamo parlare di fermenti lattici o ascoltiamo pubblicità di prodotti che possono favorire il nostro benessere, o quello dei nostri cani e gatti, favorendo la flora batterica intestinale. Ma sappiamo cos’è veramente la flora batterica e quali sono le strategie che possono renderla florida e vitale? Eppure promuovere la salute dell’intestino significa favorire il benessere di tutto l’organismo. La scienza ci offre questa definizione: “il microbiota è l’insieme dei microrganismi situati nei distretti del nostro corpo che interagiscono con il mondo esterno”. Da questa frase deduciamo due nozioni principali:  Il microbiota è l’insieme dei microrganismi che vivono con noi e con i nostri animali e quindi anche cane e gatti. Questi microrganismi si insediano nei distretti del corpo che sono a contatto con il mondo esterno come per esempio l’apparato digerente, nel quale risiede la maggior parte del nostro microbiota (circa l’80% del totale).   Come è fatto e come funziona l’apparato gastrointestinale del cane e del gatto ? Dal punto di vista anatomico, il nostro intestino e quello dei nostri animali è come un tubo, rivestito internamente da uno strato di cellule epiteliali che servono da interfaccia tra l’organismo e l’ambiente esterno, facilitando la digestione e l’assorbimento di acqua e di nutrienti ed agendo come barriera difensiva e in grado di separare “noi da loro”. In gergo più tecnico tutti questi microrganismi vengono chiamati “Microbiota Intestinale” ma in gergo più informale sono definiti “Flora Intestinale”, quindi i due termini sono sinonimi.  Il microbiota intestinale è costituito da una moltitudine di microrganismi, comprendenti batteri, virus e funghi, i quali vivono in simbiosi mutualistica nel lume intestinale. L’importanza del microbiota, che qualcuno definisce un vero e proprio organo, è dovuta al fatto che questi microrganismi convertono i nutrienti, che noi ed i nostri animali mangiamo (fibre, grassi, proteine e altre sostanze), in metaboliti ovvero sostanze utili per l’organismo che li ospita. Per questo motivo e per l’effetto di questi metaboliti, il microbiota esercita molti effetti benefici sull’ospite, tra cui attività antinfiammatorie, modulazione della motilità intestinale, inibizione degli enteropatogeni (microrganismi patogeni), miglioramento della funzione di barriera intestinale ed inoltre aiutano a trarre il massimo di energia e nutrienti dagli alimenti che, noi ed i nostri animali, mangiamo. La dieta è il principale responsabile della modulazione del microbiota ovvero della composizione e dello sviluppo delle varie specie batteriche. Quindi possiamo dire che la dieta influisce sulla composizione del microbiota il quale influisce sul benessere nostro e dei cani, gatti e di tutti gli animali.  Proprio per questo motivo la scelta dell’alimentazione deve rappresentare sempre un importante argomento di conversazione e comunicazione con il medico veterinario, non solo quando insorgono patologie ma, e forse soprattutto, per mantenere in salute il proprio cane e gatto. “DVM, PhD, Diploma Master Universitario II livello in Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva, consulente nutrizionale (Clinical Nutrition).".Dr. Giuseppe FebbraioAutore

LA CATARATTA NEL CANE

LA CATARATTA NEL CANE

Si definisce cataratta qualsiasi “opacità” che colpisce la lente (o cristallino).In relazione alla grandezza e allo sviluppo di questa opacizzazione ci sarà un conseguente deficit visivo più o meno importante. L’origine della cataratta primaria nel cane è principalmente genetica (cataratta ereditaria), a volte anche congenita, più raramente legata all'età (cataratta senile), mentre può comparire con rapidità e alta frequenza in soggetti colpiti da diabete (cataratta diabetica). Infine, infiammazioni o traumi oculari (uveiti), o malattie retiniche (degenerazioni) possono causare la comparsa di cataratte secondarie. Fig. 1 - Cataratta diabetica in un cane Molte cataratte nel cane possono essere trattate chirurgicamente con successo attraverso una delicata procedura di microchirurgia denominata “facoemulsificazione”; la lente opaca viene “frammentata ed aspirata” attraverso una piccola incisione corneale e sostituita introducendo una lente artificiale intraoculare (IOL), (Immagine di  copertina). Importante nel cane risulta la selezione del paziente che deve essere “collaborativo e non aggressivo” e in buono stato di salute generale che il medico veterinario avrà accertato mediante visita clinica ed esami generali di laboratorio e strumentali. Inoltre il proprietario dovrà essere cosciente dell’impegno che tutta la procedura e soprattutto le terapie e i controlli post-operatori comportano (per una durata complessiva di almeno 3 mesi). Prima di un intervento chirurgico per cataratta, tutti i pazienti dovranno essere sottoposti a visita specialistica preoperatoria ed ecografia oculare, spesso anche ad elettroretinografia (esame della funzionalità retinica); gli animali che risultano idonei verranno sottoposti in regime di “day-hospital” alla procedura chirurgica prevista in anestesia generale. La maggior parte dei cani operati recuperano la visione subito dopo l’intervento; raramente alcuni soggetti possono manifestare nel tempo complicanze oculari, che purtroppo riducono o vanificano l’effetto della chirurgia stessa. Statisticamente tali complicazioni sono correlate a età e razza del cane, tipo di cataratta (immatura, matura o ipermatura) ed esperienza del chirurgo (necessaria per questa più che per altre chirurgie). Lo specialista durante la prima visita potrà fornire al proprietario maggiori spiegazioni su eventuali complicanze e su tutto l’iter postoperatorio anche attraverso immagini e video.In copertina: Cane, esito si intervento chirurgico per cataratta con applicazione di lente intraoculare (IOL).Tutte le immagini sono gentilmente concesse dall'Autore. “DVM, Dottore di Ricerca in Oftalmologia Veterinaria Specialista in Clinica e Malattie dei Piccoli Animali (Oftalmologia)”Dr. Domenico MultariAutore

LA ROGNA SARCOPTICA NEL CANE

LA ROGNA SARCOPTICA NEL CANE

Cos’è la rogna sarcoptica? La rogna sarcoptica, nota anche come scabbia canina, è una malattia cutanea parassitaria dei canidi causata dall’acaro Sarcoptes scabiei var. canis.  Interessa cani di tutte le età, senza predilezioni di sesso e di razza; l’acaro può occasionalmente infestare anche i gatti venuti a contatto con cani o volpi malate.   La rogna sarcoptica è contagiosa? La rogna sarcoptica è una malattia altamente contagiosa tra soggetti della stessa specie, anche se l’acaro non manifesta una stretta specie-specificità. I cuccioli, i cani randagi e quelli che hanno sostato in canili o pensioni, sono maggiormente a rischio in quanto la trasmissione avviene prevalentemente per via diretta (contatto tra cute infestata e sana). Tuttavia il contagio si verifica anche per via indiretta attraverso l’ambiente (utensili, gabbie, mezzi di trasporto etc.) in quanto gli acari, in presenza di condizioni ambientali favorevoli, sono in grado di sopravvivere seppur per brevi periodi al di fuori dell’ospite. La rogna sarcoptica è una zoonosi e non infrequenti sono le segnalazioni da parte del proprietario al veterinario curante di lesioni cutanee in concomitanza con la sintomatologia del cane di proprietà. La malattia è però autolimitante nell’uomo: eliminando la fonte di infestazione, tramite trattamento acaricida del cane infestato, si ottiene, in circa due settimane, la regressione spontanea delle lesioni dell’uomo.    Come si manifesta la rogna sarcoptica nel cane? I segni clinici si manifestano generalmente dopo 1-3 settimane dall’infestazione e sono caratterizzati da prurito intenso che col tempo diventa spesso incoercibile. Il prurito è il risultato sia del danno meccanico diretto operato dal parassita sia dello stato di ipersensibilità che si instaura in seguito all’esposizione a materiale antigenico parassitario. La distribuzione delle lesioni in corso di rogna sarcoptica interessa tipicamente la regione ventrale e la testa mentre risulta generalmente risparmiata la regione dorsale. In particolare l’acaro sembra prediligere le aree del corpo scarsamente ricoperte da peli come la punta ed i bordi dei padiglioni auricolari, la regione perioculare, gli arti, soprattutto i gomiti ed i garretti, e la parte ventrale dell’addome e del torace. Nelle forme croniche la malattia può generalizzare, interessando l’intera superficie corporea. Nelle fasi iniziali si possono osservare lesioni quali eritema, scaglie, papule e soprattutto papule-crostose (papule sormontate da una piccola crosta) queste ultime considerate da diversi autori come le lesioni caratteristiche della malattia. In seguito, a causa dell’intenso prurito, compaiono rapidamente lesioni secondarie all’auto traumatismo quali escoriazioni, erosioni, alopecia, croste e possono insorgere complicazioni secondarie batteriche e, più raramente, da Malassezia.  Fig.1: Lesioni papulo-crostose in un cane affetto da rogna sarcoptica.Fig.2: Rogna sarcoptica in un cane: notare la distribuzione ventrale delle lesioni. Come si fa la diagnosi di rogna sarcoptica? La diagnosi di rogna sarcoptica si effettua osservando il parassita o le sue uova al microscopio. La tecnica d’elezione per la ricerca di Sarcoptes è il raschiato cutaneo superficiale che il Medico Veterinario esegue su aree cutanee in cui siano presenti lesioni suggestive della malattia. Il numero di acari è solitamente esiguo e pertanto il rinvenimento del parassita non è sempre semplice e sono spesso necessari più raschiati da parte del veterinario per diagnosticare la malattia.Dai dati riportati in letteratura si stima che la probabilità di evidenziare l’acaro nei raschiati cutanei sia tra il 30 e il 50%.  Molti autori considerano come segno diagnostico suggestivo di malattia, la presenza di un riflesso di grattamento che il cane manifesta con gli arti posteriori quando si sfrega, tra indice e pollice, il bordo del padiglione auricolare. Si stima che il 75-90% dei cani affetti da scabbia manifesti tale riflesso, anche se quest’ultimo può essere presente in altre malattie dermatologiche che causano lesioni sulla cute del padiglione auricolare e del condotto uditivo esterno. Il veterinario può utilizzare anche un test immunoenzimatico (ELISA) che identifica la presenza di anticorpi anti-Sarcoptes scabiei nel siero. Il test ha una sensibilità tra l’84 e il 92% e una specificità tra il 90 e il 96%. Il limite della metodica è rappresentato dall’impossibilità di emettere una diagnosi precoce in quanto la siero conversione e quindi la positività si osserva solo dopo 5 settimane; inoltre la positività sierologica permane almeno un mese dopo la guarigione della malattia.   Fig.3: Raschiato cutaneo superficiale: adulto e uova di Sarcoptes scabiei.Come si tratta la rogna sarcoptica? Il trattamento della rogna sarcoptica si basa sull’utilizzo di molecole ad attività acaricida. Attualmente in Italia sono diverse le molecole registrate per il trattamento della rogna sarcoptica sia in formulazione spot-on che in formulazione orale. Essendo la rogna sarcoptica una malattia estremamente contagiosa è fondamentale il trattamento di tutti gli animali conviventi per evitare ricontaminazioni. Foto in copertina:  Alopecia e lesioni papulo-crostose sul padiglione auricolare di un cucciolo affetto da rogna sarcoptica.Tutte le foto sono gentilmente concesse dall'Autore.“Medico Veterinario - (Dermatologia, Allergologia, Otologia veterinaria e Parassitologia cutanea).”Dr. Federico LeoneAutore

La sindrome da femminilizzazione del cane maschio

La sindrome da femminilizzazione del cane maschio

La femminilizzazione del cane è una patologia dovuta ad un’inappropriata produzione di ormoni femminili (estrogeni) da parte di alcuni tumori dei testicoli. Questa sindrome può causare una serie di alterazioni fisiche, comportamentali e degli esami del sangue. Colpisce i soggetti di sesso maschile e risultano particolarmente a rischio quei cani in cui uno dei testicoli rimane ritenuto in addome (criptorchidismo). FOTO 1: cane Jack Russell maschio di 3 anni, affetto da criptorchidismo. Si evidenzia la presenza di un singolo testicolo nella sacca scrotale.I testicoli si sviluppano normalmente nella cavità addominale durante la crescita fetale e discendono nella sacca scrotale durante i primi mesi di vita. Nei cani criptorchidi, uno dei testicoli rimane nella cavità addominale anche dopo la crescita.La permanenza del testicolo a livello addominale può favorirne la trasformazione in tumore. LE CAUSE I tumori testicolari sono tra i tipi di tumore più comuni nel cane, poiché rappresentano circa il 10% di tutti i tumori presenti in questa specie.Alcuni tumori testicolari possono essere causati dallo sviluppo anomalo di specifiche cellule, chiamate cellule del Sertoli.Questi tipi di tumori possono tuttavia secernere quantità elevate di estrogeni, determinando la suddetta sindrome da femminilizzazione.Nei testicoli ritenuti in addome dei cani con criptorchidismo, il rischio di sviluppare un tumore può aumentare fino a 10 volte. I tumori testicolari possono avere dimensioni variabili (solitamente 1-10 cm) e possono essere evidenziati durante una visita clinica del Medico veterinario. SINTOMI I principali sintomi evidenti in questi cani sono:- pelo secco- perdita di pelo (alopecia) non pruriginosa che comprende l’addome e il torace- colorazione scura (iperpigmentazione) nelle aree alopeciche- aumento di volume delle mammelle- sviluppo di un prepuzio pendulo o atrofico- attrazione nei confronti di altri cani maschi. Foto 2 ed in copertina: cane meticcio maschio con sertolioma che ha causato una Sindrome da Demminilizzazione. Sono evidenti le aree di alopecia e la iperpigmentazione cutanea.Nei casi più gravi l’aumento cronico di estrogeni può determinare alterazioni agli esami del sangue, causando discrasie ematologiche quali carenza di globuli rossi (anemia), di piastrine (trombocitopenia) e/o di globuli bianchi (leucopenia), predisponendo allo sviluppo di ulteriori complicazioni come sanguinamenti patologici.   Un possibile evento infausto, che colpisce soprattutto cani criptorchidi o con un testicolo neoplastico, è la torsione testicolare.In questi casi sarà presente dolore alla palpazione dell’addome, abbattimento e anoressia, associato ad un eventuale rigonfiamento dello scroto. Tale situazione necessiterà di un tempestivo intervento terapeutico.   DIAGNOSI Il Medico Veterinario potrà richiedere alcuni esami di laboratorio (emogramma, esame biochimico, esame delle urine ed esami ormonali) per escludere le principali patologie che possono causare alterazioni cliniche simili a quelle evidenziate in questa sindrome (es. sindrome di Cushing) [Vedi Articolo Fracassi F. 2020].A volte può risultare utile l’esecuzione di un esame citologico della mucosa prepuziale. In seguito all’evidenza di una neoplasia testicolare o di criptorchidismo, il Medico Veterinario potrà richiedere ulteriori indagini quali un’ecografia addominale o un esame citologico per indagare la presenza e la natura del testicolo patologico.   TERAPIA E PROGNOSI La terapia d’elezione è la rimozione del testicolo neoplastico o di entrambi i testicoli (castrazione), in seguito alla quale si ha generalmente una totale regressione dei segni clinici. Dopo l’asportazione chirurgica è possibile effettuare un esame istologico per valutare la natura del tumore: la maggior parte dei tumori testicolari hanno un comportamento benigno, pertanto nella maggior parte dei casi, non risulta necessario intervenire ulteriormente con chemioterapia dopo la rimozione chirurgica.  In corso di una torsione testicolare sarà necessario intervenire prontamente, richiedendo un intervento chirurgico urgente per rimuovere il testicolo soggetto a torsione. In rari, gravi casi in cui si sviluppano discrasie ematologiche, quest’ultime possono risultare permanenti e determinare gravi complicazioni a vita.Risulta pertanto importante individuare il prima possibile questa patologia ed intervenire appropriatamente.Con la collaborazione del Dr. Francesco Lunetta“DVM, Diplomato ECVIM-CA, EBVS® - European Veterinary Specialist in Small Animal Internal Medicine - Animali da compagnia, Endocrinologia non riproduttiva, medicina interna e terapia (Malattie Metaboliche).”Prof. Federico FracassiAutore

La demodicosi o rogna demodettica nel cane

La demodicosi o rogna demodettica nel cane

Cos’è la demodicosi nel cane? La demodicosi canina, conosciuta anche come rogna demodettica o “rogna rossa”, è una malattia parassitaria cutanea sostenuta dall’acaro Demodex canis, considerato un normale residente della microfauna cutanea del cane. Demodex canis presenta un corpo allungato, fusiforme e vive nel follicolo pilifero e nelle ghiandole sebacee del cane.    La demodicosi è contagiosa? La demodicosi non è una malattia contagiosa e l’unica via di trasmissione dimostrata è rappresentata dal contatto tra madre e figlio nei primissimi giorni di vita, durante la suzione lattea e le cure neonatali. Gli acari non possono sopravvivere al di fuori dell’ospite e sono strettamente specie-specifici per cui la malattia non è una zoonosi.    Classificazione della demodicosi La classificazione della demodicosi canina prevede una distinzione in una forma ad insorgenza in età giovanile e in una forma ad insorgenza in età adulta, basata sull’età in cui compaiono le prime lesioni. La demodicosi ad insorgenza in età giovanile è di gran lunga la più frequente e generalmente si osserva in cani giovani sino a due anni di età. La demodicosi ad insorgenza in età adulta, più rara, è segnalata in cani adulti-anziani senza una storia pregressa di demodicosi. Negli animali giovani fattori ereditari associati alla presenza di alcune condizioni stressanti transitorie (es. endoparassitosi, estro, gravidanza), potrebbe compromettere l’efficienza del sistema immunitario e favorire la moltiplicazione degli acari. Negli animali adulti si tratterebbe invece di un deficit acquisito del sistema immunitario secondario alla presenza di malattie immunodepressive (ipercortisolismo spontaneo e iatrogeno, leishmaniosi, neoplasie ecc.) o a trattamenti con corticosteroidi o farmaci citotossici. La classificazione clinica prevede un’ulteriore distinzione tra forma localizzata e forma generalizzata basata sul numero, la sede e l’estensione delle lesioni ed è considerata di notevole importanza ai fini prognostici e terapeutici. Secondo le linee guida recentemente redatte, la demodicosi è da considerarsi localizzata se non sono presenti più di quattro lesioni di diametro inferiore ai 2,5 cm.   Come si manifesta la demodicosi nel cane ? La demodicosi canina è una delle malattie dermatologiche con il maggior numero di presentazioni cliniche che possono variare notevolmente anche in funzione della razza e del tipo di mantello. Nella demodicosi localizzata le lesioni sono rappresentate da un limitato numero di aree alopeciche, di piccole o medie dimensioni, localizzate prevalentemente su testa, muso e arti.  Associate all’alopecia possono essere presenti eritema (da cui il nome “rogna rossa”), iperpigmentazione, scaglie, croste, manicotti peripilari e comedoni.  Nella demodicosi generalizzata si osservano lesioni simili a quelle che caratterizzano la forma localizzata ma di maggior estensione e gravità.La confluenza delle aree di alopecia multifocale può esitare in alopecia diffusa che può interessare intere regioni anatomiche.  Le infezioni batteriche secondarie sono una frequente complicazione e si manifestano con piodermiti superficiali, caratterizzate da comparsa di papule, pustole e collaretti epidermici, o con piodermiti profonde in cui si osservano noduli, ulcere, tragitti fistolosi e croste ematiche che si associano a prurito e intenso dolore.    Come si fa la diagnosi di demodicosi nel cane ? La diagnosi di demodicosi nel cane si effettua osservando il parassita adulto, i suoi stadi immaturi o le sue uova al microscopio.  La tecnica d’elezione è rappresentata dal raschiato cutaneo profondo che il medico veterinario esegue su aree cutanee in cui siano presenti lesioni suggestive della malattia.   Fig.1: Alopecia focale sul padiglione auricolare di un cane con demodicosi localizzataFig.2: Alopecia multifocale in un cane con demodicosiFig.3: Alopecia generalizzata in un cane con demodicosiFig.4: Esame microscopico del pelo: numerosi Demodex Un’altra metodica diagnostica utilizzabile dal medico veterinario è rappresentata dall’esame microscopico del pelo che offre alcuni vantaggi rispetto al raschiato cutaneo profondo in quanto è più veloce, meno traumatica e può essere applicata anche su regioni cutanee di difficile accesso e particolarmente sensibili come quella perioculare o quella podale.  In alcuni casi l’esame citologico del contenuto di una pustola può permettere la diagnosi di demodicosi evidenziando a fresco i corpi non colorati di Demodex. Come si tratta la demodicosi nel cane? La demodicosi localizzata si risolve spontaneamente nel 90% dei casi entro 6-8 settimane per cui non è indicato alcun trattamento acaricida, che potrebbe mascherare, in alcuni casi, la progressione della forma localizzata a generalizzata. In questi soggetti è consigliato l’esclusivo controllo delle infezioni batteriche mediante l’utilizzo di molecole antibatteriche ad uso topico.  La demodicosi generalizzata necessita, viceversa, di una terapia specifica acaricida. Attualmente in Italia sono diverse le molecole registrate per il trattamento della demodicosi canina il cui impiego ha notevolmente semplificato il trattamento di questa malattia. La terapia medica della demodicosi deve essere associata ad un buon mantenimento delle condizioni generali dell’animale, realizzabile mediante il controllo delle endo-ectoparassitosi, un alimentazione equilibrata e garantendo un qualità di vita ottimale. Di primaria importanza è, inoltre, il controllo di infezioni batteriche eventualmente associate mediante l’utilizzo di antibatterici topici e/o sistemici, mentre nella demodicosi ad insorgenza in età adulta è fondamentale la ricerca, il riconoscimento ed il trattamento della malattia sottostante anche se, nel 25-50% dei casi, resta non identificata.   Quanto deve durare il trattamento? Il monitoraggio terapeutico non può basarsi sul miglioramento delle lesioni in quanto la guarigione clinica non corrisponde, e precede, quella parassitologica per cui è necessario per il veterinario poter eseguire diversi raschiati cutanei profondi ad ogni controllo dermatologico, possibilmente nelle stesse sedi. Il medico veterinario potrà protrarre la terapia sino ad ottenere due serie di raschiati cutanei profondi negativi (assenza di acari vivi e morti, frammenti di acari, uova e forme immature) eseguiti a distanza di un mese. È consigliato monitorare attentamente i cani durante i primi 12 mesi dall’interruzione del trattamento. Secondo alcuni Autori un cane può considerarsi guarito se non presenta recidive della malattia per un periodo di 12 mesi dalla sospensione della terapia.In copertina: Esame microscopico di raschiato cutaneo: adulti di DemodexLe immagini sono state gentilmente concesse dell'Autore “Medico Veterinario - (Dermatologia, Allergologia, Otologia veterinaria e Parassitologia cutanea).”Dr. Federico LeoneAutore

IL DIABETE MELLITO NEL GATTO

IL DIABETE MELLITO NEL GATTO

Il diabete mellito è una patologia caratterizzata da una concentrazione costantemente elevata di glucosio nel sangue (iperglicemia) che può risultare pericolosa e fatale se non riconosciuta e appropriatamente trattata. Il diabete mellito è determinato da un insieme di disturbi che causa un’incapacità del pancreas di secernere l’ormone insulina, oppure da un’incapacità dei vari tessuti di utilizzare l’insulina stessa. Questo ormone è necessario al fine di diminuire la concentrazione di glucosio nel sangue e permettere ai vari tessuti di utilizzare il glucosio per produrre energia.   QUALI TIPI DI DIABETE MELLITO SONO PRESENTI NEL GATTO? Esistono diversi tipi di diabete mellito, classificabili similmente a quanto riportato in medicina umana.Il cosiddetto diabete di tipo 1 (che in passato veniva chiamato “insulino-dipendente”) è caratterizzato da una perdita irreversibile della funzionalità del pancreas nel produrre insulina, e risulta raro nel gatto.Quasi tutti i soggetti appartenenti alla specie felina sviluppano invece il cosiddetto diabete mellito di tipo 2 (“non insulino-dipendente”), caratterizzato da una perdita relativa e spesso reversibile della produzione di insulina e/o da una resistenza dei vari tessuti nei confronti dell’azione dell’insulina stessa. Questa malattia è piuttosto comune (prevalenza nel gatto stimata tra lo 0,2 e 0,5%) ed è più frequente in soggetti anziani (> 8 anni), di sesso maschile, in sovrappeso/obesi o in quelli appartenenti a specifiche razze (es. Burmese, Main Coon, Blu di Russia, Siamese). Il sovrappeso è senza dubbio il maggiore fattore di rischio per lo sviluppo di diabete mellito nel gatto. Anche uno stile di vita sedentario o prettamente indoor, la somministrazione di particolari farmaci (es. cortisonici) e alcuni fattori genetici possono predisporre allo sviluppo di diabete mellito in questa specie.   SEGNI CLINICI INDICATIVI DI DIABETE MELLITO I gatti malati si presentano tipicamente affetti da poliuria (eccesso nell’urinare), polidipsia (eccesso nel bere), polifagia (eccessiva fame) e da una progressiva perdita di peso (nonostante la condizione di obesità sottostante renda talvolta difficile identificare questo segno clinico). In casi più gravi si possono evidenziare segni clinici riconducibili a una neuropatia diabetica (debolezza degli arti posteriori, incapacità di saltare e “plantigradia”, ovvero una postura anomala evidente sui posteriori) (FOTO 1) o ad una chetoacidosi diabetica, ossia lo scompenso del diabete mellito caratterizzato da forte depressione, vomito e anoressia. FOTO 1: Gatto diabetico che ha sviluppato una neuropatia che ha determinato plantigrafia COME SI EFFETTUA LA DIAGNOSI Il diabete si può diagnosticare evidenziando una condizione di iperglicemia persistente, presenza di glucosio nelle urine (glicosuria) e in presenza di segni clinici specifici precedentemente citati (soprattutto il bere e l’urinare in eccesso). Il Medico Veterinario può inoltre avvalersi della misurazione delle fruttosamine, ossia delle proteine glicate sieriche che aumentano in corso di diabete. Poiché lo stress, un evento comune nei gatti in visita dal Medico Veterinario, o la somministrazione di alcuni farmaci (es. cortisonici) possono essere una causa di iperglicemia, è importante valutare la glicemia nel corretto contesto clinico, e non scambiare una iperglicemia da stress con un diabete mellito. Il Medico Veterinario potrebbe richiedere ulteriori indagini di laboratorio (esame delle urine con relativo esame batteriologico, esame emocromocitometrico, esame biochimico, emogasanalisi e valutazioni degli ormoni tiroidei) ed esami  strumentali (ecografia dell’addome) al fine di escludere altre malattie concomitanti che possono aver scatenato o aggravare la condizione del diabete mellito (es. infezione delle vie urinarie, ipertiroidismo, pancreatite).   LA TERAPIA Lo scopo della terapia è quella di ridurre la glicemia a valori accettabili, eliminando i segni clinici e garantendo una buona qualità di vita. In circa il 20-30% dei casi, gatti diabetici possono ottenere una remissione della malattia, attraverso la combinazione di una corretta terapia e di frequenti monitoraggi clinici e laboratoristici. La terapia più efficace, e spesso necessaria per la malattia, è la somministrazione di insulina.Solitamente all’inizio della terapia il veterinario, al fine di evitare episodi ipoglicemici, prescrive bassi dosaggi insulinici; con il tempo, solitamente tali dosaggi vengono incrementati fino ad individuare la dose adeguata allo specifico soggetto.Esistono diversi prodotti insulinici in commercio e solitamente per il gatto si prediligono insuline a lunga durata d’azione. Questo farmaco viene normalmente somministrato due volte al giorno, sotto cute, utilizzando una piccola siringa o delle apposite penne da iniezione (FOTO 2). FOTO 2: Penna veterinaria per la somministrazione di insulina e una siringa per la somministrazione di insuline alla concentrazione di 40U/ml.Una dieta adeguata, caratterizzata da una bassa concentrazione di carboidrati e da una alta componente proteica, è importante per ottenere un controllo stabile della glicemia ed ottimizzare l’efficacia della terapia insulinica per cui il veterinario prescriverà una dieta specifica. Risolvere la condizione di sovrappeso/obesità permette inoltre di avere un migliore controllo della malattia ed aumentare la possibilità di una remissione completa. Risulta importante che i pasti siano quanto più possibile forniti agli stessi orari e somministrati in ugual quantità, evitando di lasciare del cibo disponibile ad libitum e garantendo che il gatto effettui sempre un pasto completo.   L’utilizzo di ipoglicemizzanti orali può essere considerata un’alternativa alla terapia insulinica, tuttavia ha una efficacia inferiore rispetto all’insulina. A breve verranno immessi in commercio nuovi ipoglicemizzanti orali per il gatto che dai primi studi sembrano essere estremamente promettenti.   PARTICOLARI ATTENZIONI PER LA TERAPIA INSULINICA La somministrazione giornaliera di insulina non risulta difficoltosa per la maggior parte dei proprietari e non è un evento stressante per il gatto.È tuttavia importante ricordare poche, semplici regole per ottenere un controllo adeguato della glicemia e della malattia, evitando errori grossolani nella somministrazione insulinica: L’insulina deve essere adeguatamente conservata in frigo e miscelata prima di ogni utilizzo; Le siringhe utilizzate per la terapia insulinica devono essere specifiche per l’insulina scelta: l’insulina glargine presenta solitamente con una concentrazione di 100 U/ml, come la maggior parte delle insuline ad uso umano, mentre altre insuline ad uso veterinario (es. insuline “lente”) presentano una concentrazione più bassa (40 U/ml) e necessitano pertanto di siringhe specifiche. L’utilizzo di una siringa errata può comportare un controllo inefficace della glicemia o mettere a rischio la vita del gatto causando una condizione di ipoglicemia. E’ fortemente sconsigliato somministrare l’insulina da 40U/ml con siringhe da 100 U/ml, anche nel caso in cui si decida di effettuare l’apposita proporzione. Questo calcolo è infatti spessissimo fonte di errori. Nel caso in cui si utilizzino insuline più concentrate (es glargine 300U/ml) la somministrazione va effettuata esclusivamente con l’apposita penna. La presenza di bolle d’aria nella siringa o una somministrazione inadeguata nel sottocute del gatto può determinare una minore efficacia della terapia, una condizione grave se tali errori vengano reiterati giornalmente.   MONITORAGGIO DELLA TERAPIA Al fine di ottenere un buon controllo della malattia dovranno essere attentamente monitorati cambiamenti nei segni clinici ed il veterinario dovrà effettuare un controllo periodico e regolare dei valori glicemici. Dopo l’introduzione della terapia insulinica verranno programmati dei controlli settimanali per i primi 1-2 mesi, successivamente i controlli verranno effettuati circa ogni 4-6 mesi. La valutazione dei valori glicemici, in associazione agli aspetti clinici, permette al veterinario di individuare la dose insulinica più adeguata. La valutazione seriale della glicemia, attraverso cosiddette “curve glicemiche”, consiste nella valutazione della glicemia nell’arco di un’intera giornata, sia prima che dopo i pasti e della somministrazione della terapia insulinica. Il metodo più efficace e meno invasivo prevede l’utilizzo di glucometri portatili specificatamente progettati per l’utilizzo in ambito veterinario.Questi apparecchi possono valutare la glicemia del gatto attraverso una piccola goccia di sangue, prelevabile facilmente e senza dolore dal padiglione auricolare o dai polpastrelli.I valori di glicemia in un gatto diabetico dovranno approssimativamente essere compresi tra 90 e 250 mg/dl.    L’utilizzo di sensori per il monitoraggio continuo di glucosio è un’alternativa recentemente diffusa anche in ambito veterinario. Viene posizionato a tale scopo un sensore sulla cute del gatto (Foto 3), solitamente nel collo, che permette di monitorare costantemente il glucosio semplicemente avvicinando uno smartphone al sensore.FOTO 3 (in copertina): Sensore per il monitoraggio continuo del glucosio applicato sul collo del gatto. L’applicazione non è dolorosa e non richiede sedazione. In questo modo si possono ottenere dei grafici nei quali il glucosio viene monitorato costantemente (figura 4) IMMAGINE 4: Monitoraggio di 24 ore del glucosio ottenuto con sistema di monitoraggio continuo. I pallini e i numeri di glucosio corrispondenti (espressi in mg/dl) rappresentano il momento nel quale il proprietario scansiona il sensore attraverso l’uso dello smartphone.Proprietari adeguatamente istruiti dal loro veterinario possono, con il tempo, imparare ad effettuare i controlli glicemici tramite un apposito glucometro anche da casa, diminuendo l’effetto stressante che la visita clinica o il ricovero giornaliero può avere sul gatto e sulla valutazione glicemica. I valori di glicemia ottenuti da questi controlli e gli eventuali cambiamenti clinici dovranno essere appuntati e consegnati al Medico Veterinario curante; sulla base di questi parametri verrà deciso se modificare il dosaggio di insulina giornaliero. Nel caso in cui non siano evidenti miglioramenti nelle condizioni cliniche o nei controlli glicemici, dopo alcuni mesi di trattamento, il Medico Veterinario potrà richiedere ulteriori accertamenti diagnostici, tramite esami di laboratorio o esami strumentali, per escludere alcune malattie concomitanti che possano causare un mancato controllo del diabete (es. acromegalia, ipertiroidismo, infezione delle vie urinarie, pancreatiti croniche, tumori).   REMISSIONE DELLA MALATTIA Poiché nei gatti affetti da diabete mellito di tipo 2 adeguatamente trattati è possibile ottenere una remissione della malattia, è particolarmente importante effettuare scrupolosamente la terapia e rispettare i numerosi controlli indicati dal veterinario. Nel caso di una remissione della malattia non opportunamente identificata o di un sovradosaggio della terapia insulinica è possibile che si sviluppi una condizione di ipoglicemia (glucosio < 40-50 mg/dl), potenzialmente rischiosa per la vita del gatto e che può rappresentre un’urgenza medica. In questi casi potrebbero essere evidente una forte depressione, barcollamenti, tremori e nei casi più gravi sviluppo crisi convulsive. In tal caso è importante sospendere la somministrazione di insulina, somministrare del miele per via orale e contattare il Medico Veterinario.    PROGNOSI La prognosi in un gatto affetto da diabete mellito di tipo 2 dipende da quanto precocemente è stata effettuata la diagnosi, dall’ottenimento di un buon controllo glicemico, dalla presenza di eventuali patologie concomitanti e dallo sviluppo di remissione della malattia. Al fine di ottenere un buon controllo del diabete mellito ed evitare una recidiva della malattia dopo la sua remissione, è importante effettuare controlli clinici periodici e della glicemia, mantenendo uno stile di vita ed alimentare adeguato. In collaborazione con il Dr. Francesco LunettaLe immagini pubblicate sono concesse dagli Autori “DVM, Diplomato ECVIM-CA, EBVS® - European Veterinary Specialist in Small Animal Internal Medicine - Animali da compagnia, Endocrinologia non riproduttiva, medicina interna e terapia (Malattie Metaboliche).”Prof. Federico FracassiAutore

Prurito nel gatto come si manifesta

Prurito nel gatto come si manifesta

Che cosa è il prurito nel gatto e come si manifesta? Il sintomo prurito è un a sensazione spiacevole che si genera da stimoli periferici che raggiungono il cervello per poi ritornare mediante fibre nervose alla cute.Tale sintomo è molto comune in dermatologia felina e riconosce numerose cause. Bisogna ricordare che la sensazione di prurito non si manifesta solo mediante il grattamento ma, soprattutto nel gatto, anche il leccamento è un classico sintomo di prurito.   Quando un gatto presenta prurito? Le malattie dermatologiche pruriginose sono di diversa natura e includono più frequentemente cause parassitarie e allergiche. Meno comunemente possono generare il sintomo prurito nei gatti le malattie metaboliche, infettive (dermatofitosi), immunomediate o neoplastiche. Le allergie, sia alimentari sia nei confronti di allergeni ambientali o di allergeni presenti nella saliva delle pulci, sono sicuramente le cause più comuni di prurito.   Quali sono le lesioni cliniche osservate sulla cute dei gatti con prurito? Le manifestazioni cliniche del prurito nel gatto sono molto diverse tra loro e creano talvolta difficoltà d’interpretazione; se a questo sommiamo il fatto che esse non sono indicative della causa sottostante, si capisce come il gatto “dermatologico” sia un paziente molto complesso da gestire. Tra le lesioni dermatologiche associate al prurito sono incluse: le dermatiti erosive-ulcerative della faccia, testa e collo legate all’auto-traumatismo procurato con gli artigli (prurito testa-collo) la cosiddetta “dermatite miliare”, una dermatite caratterizzata da piccole papule eritematose delle dimensioni di un seme di miglio (da qui il termine “miliare”) distribuite su tutto il tronco l’alopecia simmetrica autoindotta, che si manifesta con la riduzione della lunghezza del mantello che il gatto crea mediante un grooming eccessivo legato al forte prurito; le lesioni del cosiddetto complesso granuloma eosinofilico, un gruppo di lesioni dermatologiche che comprende il granuloma eosinofilico (granuloma lineare su profilo posteriore delle cosce o granuloma del labbro inferiore o dei spazi interdigitali ventrali e cuscinetti), l’ulcera indolente labiale e le placche eosinofiliche, solitamente presenti su addome e interno cosce. Fig. 1 - Alopecia autoindotta da leccamento, causata da pruritoFig. 3 - Dermatite miliareFig. 5 - Dermatite erosiva-ulcerativa del collo, causata da auto-traumatismoFig. 7 - Dermatite erosiva-ulcerativa del collo, causata da auto-traumatismoFig. 2 - Alopecia autoindotta da leccamento causata da pruritoFig. 4 - Dermatite miliareFig. 6 - Dermatite erosiva-ulcerativa del collo, causata da auto-traumatismoFig. 8 - Dermatite erosiva-ulcerativa causata da auto-traumatismoFig. 1 - Alopecia autoindotta da leccamento, causata da pruritoFig. 2 - Alopecia autoindotta da leccamento causata da pruritoFig. 3 - Dermatite miliareFig. 4 - Dermatite miliareFig. 5 - Dermatite erosiva-ulcerativa del collo, causata da auto-traumatismoFig. 6 - Dermatite erosiva-ulcerativa del collo, causata da auto-traumatismoFig. 7 - Dermatite erosiva-ulcerativa del collo, causata da auto-traumatismoFig. 8 - Dermatite erosiva-ulcerativa causata da auto-traumatismoCome si diagnostica la causa del prurito nel gatto ? L’iter diagnostico del prurito nel gatto si esegue per esclusione, mediante un approccio ragionato che escluda via via le diverse diagnosi differenziali. Il primo step che il veterinario effettuerà, insieme alla visita clinica, prevede l’esclusione delle malattie infettive (dermatofitosi) o parassitarie (rogne o presenza di pulci) attraverso l’esecuzione di tecniche diagnostiche ambulatoriali (lampada di Wood, esame citologico, esame microscopico del pelo, raschiato cutaneo, semina in terreni selettivi per dermatofiti) e trattamenti di prevenzione con farmaci antiparassitari. Qualora queste malattie venissero escluse, il veterinario procederà alla ricerca di una causa da ipersensibilità (allergia) che potrebbe essere dovuta ad un problema alimentare (reazione avversa al cibo) individuabile mediante una dieta selettiva, basata su fonti alimentari mai ingerite dal paziente, per un periodo minimo di 8 settimane. Al termine di questo trial dietetico restrittivo, qualora il gatto continuasse a grattarsi, il veterinario potrà formulare una diagnosi clinica di ipersensibilità nei confronti di allergeni ambientali e procedere con un test allergico su siero ed un’eventuale immunoterapia allergene specifica.   Ma il prurito è sempre su base allergica? Sebbene nella quasi totalità dei casi il prurito nel gatto sia legato a malattie da ipersensibilità, ci sono malattie rare con cause ed aspetti clinici particolari che possono generare prurito, fra queste alcune neoplasie cutanee (linfoma epiteliotropo), sindromi paraneoplastiche (alopecia paraneoplastica, dermatite esfoliativa associata a Timoma), malattie idiopatiche immunomediate (follicolite murale) ecc. La storia del paziente, che deve essere fornita con molta precisione dal proprietario, il segnalamento (età, razza e sesso) e l’aspetto clinico di queste lesioni, possono indirizzare il veterinario verso una di queste diagnosi più complesse. In copertina: gatto con lesioni della testa da autotraumatismo per prurito.Tutte le immagini sono gentilmente concesse dall'Autore.“Medico Veterinario - (Dermatologia ed Allergologia - Citologia ed Istologia dermatologica – Micologia - Parassitologia dermatologica e Otologia)”Dr. Francesco AlbaneseAutore

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